Oggi ci troviamo a vivere in un momento difficile della nostra epoca. La pandemia da Coronavirus ha fatto crescere l'incertezza nelle nostre vite e, per chi già soffriva di DOC (Disturbo Ossessivo Compulsivo ) o aveva una vulnerabilità ma non dei sintomi ben presenti, questa situazione potrebbe aver incrementato il bisogno di rassicurazione e certezza .
Sono tanti i dubbi che ogni giorno attraversano la nostra mente. I media e gli scienziati ci invitano ogni giorno a lavarci frequentemente le mani, ad evitare di toccarci il più possibile il volto e di tenerci a distanza dagli altri. Ciò fa crescere l'ansia e, in alcune persone, anche l'insorgere di altri dubbi:
Che fare? Dobbiamo differenziare i pensieri e cercare di individuare quelli catastrofici dovuti ad una forte ansia e paura che spingerebbero a mettere in atto comportamenti eccessivi come lavarsi le mani per troppo tempo e di continuo anche quando non è necessario. Ad esempio, se andiamo a fare una passeggiata da soli sotto casa e quando torniamo nell'abitazione le nostre preoccupazioni potrebbero motivarci ad andare direttamente in bagno e lavarci le mani per venti secondi con acqua e sapone, stiamo mettendo in atto un comportamento corretto, proprio come l'organizzazione mondiale della sanità suggerisce. Ma se dopo essermi lavato le mani accuratamente, mi venisse il dubbio che magari non sono state lavate bene e tornassi in bagno a lavarle ? e se il dubbio tornasse e senza essere entrato in contatto con qualcosa, avessi la sensazione di essere sporco? Questi ultimi pensieri portano a generare ulteriore dubbio e angoscia e fanno si che la persona entri in un circolo vizioso dove le cose contaminate possono essere tante e anche nella propria casa e a mettere in atto comportamenti di pulizia continui allo scopo di eliminare ogni dubbio. Per esempio: dopo essere uscito mi sono cambiato gli abiti e ho appoggiato la maglia che indossavo su un mobile. Il punto dove l'ho appoggiata si potrebbe essere contaminato. Allora qualunque cosa poi venga appoggiata li si potrebbe contaminare .. In questo momento di incertezza, è facile per le persone ansiose diventare molto attente e controllate in maniera eccessiva, ma questa strada non porta alla sicurezza ma ad accrescere ancora di più il bisogno di controllo. Se la situazione sembra diventare invalidante non esitare a chiedere aiuto ad un professionista, ti potrà aiutare a riconoscere i pensieri ossessivi e a poter stare con un pò di incertezza e farle spazio dentro di te.
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Spesso abbiamo parlato di metacognizione , intesa come la capacità di compiere operazioni cognitive sugli stati mentali propri e altrui, e di utilizzare queste conoscenze per la soluzione di compiti o per il padroneggiamento di stati mentali fonte di sofferenza soggettiva (Wells e Purdon 1999). La metacognizione svolge due attività, ci permette di: - Conoscere il proprio funzionamento e quello degli altri - Regolare gli stati mentali attraverso la pianificazione, il monitoraggio e i processi di controllo Secondo Carcione e Falcone, la metacognizione non è un'unica funzione, ma è costituita da diverse sotto-componenti che possono essere distinte in: - contenuti metacognitivi: idee e credenze con le quali vengono interpretati i contenuti e i processi mentali . Per esempio: “ se ho l‟ansia significa che sono una persona debole”. - funzioni metacognitive: sono abilità che permettono di conoscere tali processi mentali e di operare su di essi per risolvere compiti e per padroneggiare stati problematici fonte di sofferenza (Monitoraggio, Decentramento, Differenziazione, Integrazione ) Spesso i problemi relazionali possono essere dovuti a una scarsa abilità nel funzionamento metacognitivo che può presentarsi per esempio come: una difficoltà nel dare un nome all'emozione che si prova, distinguerla darle altre, comprendere cosa ha portato a provare quell'emozione, dare una spiegazione ai propri comportamenti, differenziare i propri pensieri e vederli in modo flessibile e non come una realtà di fatto, comprendere come ogni persona ha diversi contenuti di pensiero e che pensa in modo diverso e valuta le cose in modo diverso, non è possibile attribuire all'altro i propri pensieri ma per mettersi al posto dell'altro è necessario indossare gli occhiali con cui l'altro legge il mondo. Tra le funzoni metacognitive alcuni autori inseriscono la Mastery o Padroneggiamento: si riferisce alla capacità di assumere un atteggiamento attivo verso la soluzione dei problemi. Una buona mastery consente di fronteggiare situazioni complesse e regolare gli stati problematici interni. Esistono tre tipi di strategie: - Strategie di 1 livello: sono le più semplici e più comportamentali e richiedono un basso impegno riflessivo da parte dell‟individuo (basso uso delle funzioni metacognitive). Fanno parte di questo gruppo quelle azioni che vengono compiute direttamente sull‟organismo es. utilizzo dei i farmaci, evitamento delle situazioni, il richiedere un supporto agli altri per regolare le emozioni e gli stati mentali problematici. - Strategie di 2 livello: richiedono un maggiore impegno riflessivo e sono per esempio l'imporsi o l'inibire volontariamente un comportamento , il modificare attivamente la propria attenzione e concentrazione, il pensare o il non pensare volontariamente a un problema. - Strategie di 3 livello: le strategie di terzo livello richiedono un elevato impegno riflessivo e sono per esempio: la critica razionale a una credenza relativa allo stato problematico (comprendere che quel pensiero fa parte del proprio problema e che quindi non va seguito), l'uso delle conoscenze sugli stati mentali altrui per migliorare le relazioni interpersonali, l'accettazione dei propri limiti personali. In questo livello c‟è un‟azione diretta dell‟individuo sul suo stato mentale. Possedere una buona Mastery non significa utilizzare unicamente strategie di 3 livello, ma essere flessibili per riuscire, in base al contesto, a ricorrere alle varie abilità. La terapia metacognitiva-interpersonale mira a migliorare il funzionamento metacognitivo, al fine di favorire sia il riconoscimento ed il padroneggiamento degli stati mentali problematici, sia il miglioramento delle relazioni interpersonali. Il trattamento del disturbo ossessivo compulsivo implica imparare a convivere con dubbi e incertezze. Un approccio terapeutico che aiuta a raggiungere questo obiettivo è l' esposizione con prevenzione della risposta (ERP) per il DOC . L' ERP consiste in due parti: 1) esposizione e 2) prevenzione della risposta. Per esposizione si intente esporsi alla situazione temuta che genera ansia. Le esposizioni non sono effettuate casualmente, ma avvengono in modo programmato e gerarchico e hanno come target lo stimolo generatore di ansia. E' per questo sconsigliato improvvisare esposizioni senza la guida di un professionista. Per prevenzione della risposta ci si riferisce al consentire all'ansia di diminuire in modo naturale dopo l'esposizione, senza allontanarla con rituali /compulsioni tranquillizzanti. I rituali mentali possono includere rassicurazione di sé, preghiere, pensare a delle parole specifiche e ripeterle nella mente. Anche l'evitamento è considerato un rituale. I rituali comportamentali sono per esempio il lavaggio delle mani, la ripetizione di gesti, la ripetizione di parole, il mettere in atto dei comportamenti che per il soggetto possono ridurre la minaccia. Le esposizioni si presentano in due forme: esposizione in vivo ed esposizione in immaginativa. In vivo. Implica l'esposizione diretta alle situazioni temute nella vita reale . Esempio. La minaccia è toccare qualcosa di sporco come maniglie delle porte, interruttori della luce, bidoni della spazzatura, animali e servizi igienici L'obiettivo è affrontare la paura senza mettere in atto rituali tranquillizzanti. Ciò significa che dopo aver toccato questi oggetti contaminati, la persona si asterrebbe dal lavarsi le mani, usare il disinfettante per le mani, ottenere rassicurazione, rivedere mentalmente le ragioni per cui va bene non lavarsi o fare qualsiasi altra cosa per neutralizzare il pericolo percepito della situazione. Esposizione immaginativa L'esposizione immaginativa comporta il confronto diretto con i pensieri temuti e le conseguenze temute usando l'immaginazione. Le persone di espongono agli scenari ansiogeni più e più volte nelle loro menti fino a quando l'intensità della loro risposta all'ansia è ridotta. Ciò è utile ad affrontare i tuoi pensieri indesiderati in modo diretto e non evitante. Ad esempio. Una persona con DOC che ha pensieri sessuali indesiderati sui bambini. La minaccia è essere un pedofilo. Lo scenario in immaginativa dovrebbero includere anche altre paure che potrebbero affiancare quella di essere un pedofilo come: ciò che la tua famiglia potrebbe pensare di te, vedere la tua foto sul giornale , andare in prigione, perdere il rispetto di tutti quelli che conosci. A volte queste conseguenze temute possono evocare emozioni ancora più forti delle emozioni legate all'atto temuto stesso. Immaginare che minaccia temuta è avvenuta significa farlo dettagliatamente includendo per esempio l'espressione sul viso del tuo coniuge quando l'ha scoperto. Cosa ha detto? Com'è stato il primo giorno in cui sei entrato in prigione? Cosa ti ha detto tua figlia ? Attenzione però, quando raggiungerai il punto in cui le esposizioni ti causano meno ansia, il DOC probabilmente proverà a ingannarti dicendo: "Ah! Vedi, ciò non ti rende più nemmeno ansioso o disgustato. Questa è la prova che sei insensibile e che sei capace di fare cose terribili! L'essere seguiti nel trattamento da un terapeuta è fondamentale per poter realizzare delle corrette esposizioni e per poter gestire momenti difficili nel percorso di riduzione del disturbo ossessivo compulsivo. I primissimi legami che i bambini costruiscono con le figure di riferimento sono considerati importanti per il benessere individuale e relazionale futuro. L’autore che ha approfondito per primo questi aspetti è John Bowlby che sviluppò la teoria dell’attaccamento. Per Bowlby, i legami di attaccamento, hanno una base evolutiva e una biologica e sono fondamentali per la sopravvivenza, aumentando la probabilità di un bambino piccolo di rimanere incolume davanti ad una minaccia richiedendo protezione e vicinanza ai genitori. Secondo questa teoria, la selezione evolutiva ha perciò mantenuto quei comportamenti messi in atto dai bambini per attirare l’attenzione del genitore come per esempio il pianto. Bowlby, per descrivere una relazione di attaccamento, la paragona ad un termostato, impostato per mantenere e regolare una certo parametro: la vicinanza. Quando è ben regolato, il bambino può dedicarsi ad altre attività come l’esplorazione dell’ambiente e il gioco. Quando invece l’attaccamento è minacciato, per esempio per l’assenza della figura primaria, il bambino cerca di riavere la vicinanza e può utilizzare strategie diverse in base all’età e alle competenze cognitive per raggiungere il suo scopo. Fu proprio John Bowlby a notare come cure materne inadeguate nella prima infanzia erano spesso correlate a uno sfavorevole sviluppo della personalità. L’attaccamento, nel corso del tempo, è stato ampiamente studiato, fino alla creazioni di strumenti per misurarlo. Mary Ainsworth e collaboratori, nel 1978, riprendono i precedenti studi di Bowlby e sviluppano una modalità per classificare in vari partner di sicurezza relazionale. La valutazione avviene tramite la “Strange Situation” che consiste nel sottoporre il bambino piccolo ad eventi stressanti per far attivare il legame genitoriale. La procedura prevede l’osservazione del comportamento del bambino insieme alla mamma all’interno di una stanza dove ci sono dei giocattoli. Viene chiesto alla madre di leggere una rivista mentre il figlio esplora l’ambiente. In un secondo tempo entra un estraneo nella stanza, che interagisce prima con la mamma e poi cerca di relazionarsi con il bambino. A questo punto la madre esce e il bambino e l’estraneo rimangono da soli. Dopo alcuni minuti la mamma rientra e si osservano le modalità di ricongiungimento con il genitore: se il bambino ricerca vicinanza e contatto oppure continua a giocare. Dopo alcuni minuti la mamma lascia di nuovo la stanza e il bambino questa volta rimane da solo. Rientra l’estraneo e viene osservato come il bambino reagisce all’ingresso di questa figura. Dopo alcuni minuti rientra anche la madre. L’ultimo episodio è il più importante per la valutazione dell’attaccamento. Da questa scena è possibile individuare vari stili di risposta: ci sono bambini che ricercano l’interazione con i genitori e si sentono rassicurati dalla loro presenza, bambini inconsolabili, bambini passivi, bambini arrabbiati e infine bambini che mettono in atto risposte contraddittorie. Dall'osservazione sistematica si sono potuti identificare 4 differenti patterns di risposta
In questi studi gli autori ipotizzano che una disregolazione dell’attaccamento può portare, come conseguenza, ad una disregolazione del Sé, mentre i bambini con attaccamento sicuro sembrano avere più probabilità di costruire relazioni sicure con gli altri e di sviluppare un’immagine di Sè positiva. Lo stile di attaccamento sembra avere un ruolo importante nella capacità del bambino di riconoscere le emozioni e ciò sembra correlato con la sensibilità del genitore al mondo emotivo del bambino e a sviluppare in lui la capacità di nominare e descrivere le proprie emozioni. Alcuni studi di Pollak, Cicchetti, Hornung e Reed nel 2000 hanno notato che bambini abusati o trascurati nell’infanzia mostravano, oltre ad una maggior difficoltà a riconoscere le espressioni emotive facciali, una tendenza ad esprimersi con un linguaggio più povero per descrivere i propri stati interni. Dalle riflessioni e dagli gli studi sui primi legami bambini- genitori, Main e Goldwin, nel 1994 hanno sviluppato uno strumento, l’Adult Attachment Interview, con l’obiettivo di valutare lo stile di attaccamento nell’adulto, sulla base di criteri linguistici che si osservano nel modo in cui la persona costruisce la narrazione di sé e degli eventi importanti della propria vita. L’intervista esplora, attraverso domande aperte, le relazioni precoci con i genitori , valutando, sia le descrizioni generali di tali relazioni, sia i ricordi a sostegno delle affermazioni, o in contraddizione con esse. Gli autori hanno identificato tre profili principali, a cui in un secondo momento se ne è aggiunto un quarto:
Questo cortometraggio di Joe Oliver illustra prima la lotta e poi il fare spazio a tutte quelle sensazioni, emozioni e pensieri indesiderati.
Il protagonista decide di organizzare una festa con tutti i suoi amici. Il giorno della festa sembra essere tutto pronto, gli ospiti sono arrivati e si respira un' atmosfera divertente e gioiosa. Ad un certo punto suona il campanello, alla porta c'è qualcuno che non era stato invitato. E' il vicino di casa, una persona maleducata, fastidiosa e sgradevole... L'ospite entra e si unisce agli altri invitati, si serve da bere e da mangiar e infastidisce gli altri ospiti, tanto che il protagonista decide di cacciarlo . Una volta che se n'è andato, la festa può riprendere ..... ma dopo poco suona nuovamente il campanello... è nuovamente il vicino che prova a unirsi nuovamente alla festa ma che viene nuovamente mandato via. Per essere sicuro che non torni, il protagonista, decide di rimanere vicino alla porta a fare la guardia. Ciò lo fa sentire sollevato ma in questo modo si sta perdendo tutta la festa. Non sa più veramente cosa fare: godersi la serata e stare con il pensiero che lui torni o rimanere di guardia? Dopo un po' il protagonista realizza che quella festa è piuttosto importante per lui e che vuole stare con i suoi amici, così decide di tornare dagli altri, dicendo a se stesso "se il vicino dovesse tornare significa che deve andare così" Dopo poco eccolo di nuovo, il vicino torna alla festa e ricomincia ad infastidire gli ospiti....MA QUESTA VOLTA QUALCOSA è DIVERSO...il nostro protagonista non lo ignora perché è abbastanza difficile riuscirci, ma decide di non farsi influenzare e continuare a parlare con i suoi amici... e così inizia a notare cose interessanti:
Questo è un po' quello che accade con le sensazioni, i pensieri e le emozioni che cerchiamo a tutti i costi di allontanare e di non provare.. lottandoci forse per un po' staranno lontani, ma torneranno. Pensare di stare sempre in guardia per cercare di controllarli non farà altro che far perdere di vista gli aspetti più importanti della vita. Molte persone affette da DOC vorrebbero la certezza della certezza. Le prime concezioni del DOC risalenti al 19 ° secolo, hanno riconosciuto direttamente questo problema, infatti il disturbo ossessivo compulsivo era spesso definito "la malattia del dubbio". È questo bisogno di certezza, la necessità di eliminare il dubbio, che porta molte persone con disturbo ossessivo compulsivo a comportamenti ripetitivi, che sono conosciuti come rituali. Ad esempio, è il dubbio: - " le mie mani siano sufficientemente pulite???" ad indurre a compiere ripetuti rituali di lavaggio delle mani . Allo stesso modo, l'incertezza sul fatto che una stufa sia stata spenta e la preoccupazione delle conseguenze potenzialmente disastrose, può essere alla base dei rituali di controllo . L'incapacità di tollerare il dubbio può essere devastante. Questo può lasciare una persona bloccata in un pantano morale che fa sentire senza speranza. Sfortunatamente, i rituali non forniscono mai una soluzione a lungo termine. Anche se a volte possono essere utili per ridurre i dubbi al momento. Il dubbio, infatti, tornerà e diventerà più forte, i rituali diventeranno meno efficaci nel ridurre l'ansia nel tempo e i sintomi cresceranno. La verità è che la certezza è sempre un miraggio. Non possiamo mai avere completa certezza. Non possiamo mai cancellare tutte le tracce di dubbio. Noi viviamo in un mondo dove tutto è possibile. Ma possiamo imparare a vivere con il dubbio. Quando guidiamo, siamo sicuri che arriveremo a destinazione? Ovviamente no. Eppure molti di noi si assumono questo rischio senza nemmeno pensarci. È probabile che, se ci pensi veramente, puoi identificare molti esempi di questo tipo. Se sei una persona affetta da DOC, puoi imparare a rafforzare la tua tolleranza all'incertezza attraverso la prevenzione dell'esposizione e della risposta (ERP). Come funziona ERP- esposizione con prevenzione della risposta?? Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è caratterizzato da ossessioni e compulsioni. Le ossessioni sono pensieri, immagini o impulsi inquietanti ansiogeni. Le compulsioni (anche conosciute come "rituali") sono le strategie che gli individui con disturbo ossessivo compulsivo usano per ridurre l'ansia associata alle ossessioni. I rituali sono efficaci a breve termine, in quanto portano a una diminuzione abbastanza rapida dell'ansia. Tuttavia, sono considerati disadattivi, perché il sollievo dall'ansia che portano è di breve durata e fanno si che i rituali vengano ripetuti nel tempo. Uno dei trattamenti con maggior efficacia per il disturbo ossessivo compulsivo è la "l'esposizione con prevenzione della risposta (ERP)" , che è costituito da due componenti principali: 1) esposizione e 2) prevenzione della risposta. La prevenzione della risposta si riferisce a eliminare i rituali, mentre l'esposizione si riferisce all'inserimento volontario di situazioni che possono scatenare ossessioni. La prevenzione della risposta è la componente critica del "cortocircuito". Quando si implementa la prevenzione della risposta regolare, le ossessioni non sono più rinforzate e alla fine diminuiscono in frequenza e intensità. Più esposizioni si completano, più il ciclo di feedback positivo si degrada. Idea sbagliata 1: l'ansia fa male e non bisogna averla. In realtà, provare ansia è qualcosa di normale e funzionale. Non si può non provare ansia. L'ansia motiva e aiuta a prepararti sufficientemente per un esame o a migliorarti nel tuo lavoro. L'ansia per le cose pericolose può salvarti la vita. Certo, non tutta l'ansia è buona o funzionale. Alcuni picchi di ansia si verificano senza una buona ragione e non hanno un lato positivo. Questi falsi allarmi ci fanno sentire male senza motivo. Il disturbo di panico è l'esempio perfetto di questo. L'obiettivo del trattamento dell'ansia non è quello di eliminare l'ansia, ma piuttosto di ricalibrare il sistema in modo che ci siano meno falsi allarmi,. Quando finisci il trattamento per l'ansia, avrai comunque ansia. Semplicemente non sarà al centro della tua vita come ora. Idea sbagliata 2: l'evitamento è una soluzione efficace per l'ansia. Non si può negare che l'evitamento è una soluzione efficace per ridurre l'ansia. Tuttavia, gli effetti ansiolitici dell'evitamento sono di breve durata e hanno un costo elevato. Il ricorso all'evitamento come strategia può ridurre l'ansia a breve termine, ma aumenta drammaticamente l'ansia a lungo termine. Perché succede? In sostanza, l'evitamento ci fa credere che se non avessimo evitato, tutto quello che di peggiore ci eravamo immaginati sarebbe successo. Per esempio: "I germi sono ovunque. Se eviterò di toccare la maniglia sporca, non mi ammalerò. " L'evitare la maniglia impedisce di entrare in uno stato emotivo ansiogeno, dando nell'immediatezza sollievo. Tuttavia, l'evitamento rafforza la convinzione che le maniglie delle porte siano pericolose (anche se non lo sono). Più evitiamo, più distorciamo le nostre percezioni fino a quando non giungiamo a credere fermamente in qualsiasi assurdità che il nostro cervello ci sta dicendo. Più costantemente evitiamo le maniglie delle porte, più iniziamo ad evitare altre cose simili alle maniglie delle porte. In poco tempo, potremmo avere paura di fare cose che quotidianamente abbiamo sempre fatto. Idea sbagliata 3: dovrei evitare situazioni che mi causano ansia. L'ansia non è il nemico e non dovremmo adottare strategie o stili di vita strutturati per ridurla al minimo. Ricordiamoci sempre che l'ansia è una risposta normale e utile a un dato insieme di circostanze. A volte la cosa migliore che possiamo fare per noi stessi è permetterci di provare ansia senza nasconderci. Idea sbagliata 4: il trattamento per l'ansia dovrebbe aiutarmi a convincermi che, quello che temo non accadrà. Le paure che tendono a tormentarci sono spesso abbastanza plausibili, per questo i nostri cervelli non possono facilmente liquidarle. Le persone hanno paura degli incidenti automobilistici. Nel mondo è pieno di assassini e pedofili . Alcune persone contraggono l' AIDS . Le case bruciano, ci sono terremoti . Gli aeroplani cadono, ci si può ammalare. . Le cose brutte accadono. Cercare di convincerti che queste cose non possono o non potranno mai accadere è impossibile. Inoltre, più ti impegni a credere che non possono o non succederanno, più spesso queste paure ti torneranno. Per stare meglio il fine è quello di rinunciare al tuo bisogno di certezza. Questo non significa che devi convincerti che il peggio accadrà. Significa semplicemente che devi rinunciare agli sforzi per prevedere o controllare il futuro e lavorare sul rendere controllabile l'ignoto. Secondo le teorie cognitive, ogni comportamento che mettiamo in atto è guidato da desideri e scopi, che si appoggiano sulle nostre credenze /rappresentazioni su com'è e deve andare il mondo, gli altri e noi stessi. Se per esempio mi sono creato nel tempo una rappresentazione/credenza di X come di una persona non affidabile, non le assegnerò compiti importanti . Carcione, Semerari e Coll nel 2016 affermano: “ Noi possiamo riferire i nostri pensieri, possiamo sapere quali emozioni ci provocano, possiamo dire se una certa immagine mentale corrisponde o meno ad un evento vissuto, riflettiamo sulle nostre credenze e allo stesso modo, attribuiamo agli altri pensieri, emozioni, fantasie, processi di ragionamento, atteggiamenti emotivi attraverso l’osservazione di ciò che dicono e fanno e delle loro espressioni emotive. Creiamo rappresentazioni su rappresentazioni che vengono chiamate metarappresentazioni.” Oggi la metacognizione viene definita come la capacità di compiere operazioni cognitive sugli stati mentali propri e altrui, e di utilizzare queste conoscenze per la soluzione di compiti o per il padroneggiamento di stati mentali fonte di sofferenza soggettiva (Wells e Purdon 1999). Gran parte degli studi italiani sulla metacognizione sono stati intrapresi negli ultimi anni dai ricercatori del III Centro di Psicoterapia Cognitiva di Roma che ipotizzarono che, alcune persone con tratti di personalità rigidi e /o con disturbi della personalità potessero presentare significativi deficit nelle funzioni metacognitive . Le funzioni metacognitive: Identificazione o Monitoraggio : permette di riconoscere le emozioni che si provano e discriminarle le une dalle altre. Comprendere che cosa le ha attivate, cogliendo i nessi con il contesto in cui ci si trova. Alcune persone non riescono a discriminare per esempio tra ansia e tristezza, oppure si sentono confuse non riuscendo a fare chiarezza dentro di loro rispetto a ciò che provano. In altri casi possono aver chiara l'emozione ma non riescono a collegarla al perchè la provano. Esempio di una buona capacità di monitoraggio: ieri ero al supermercato e una persona mi ha superato alla cassa, ho sentito la rabbia salirmi e il mio corpo attivarsi e ho pensato che questa persona mi stesse mancando di rispetto e che è un maleducato. A quel punto , per cercare di far valere i miei diritti gli ho detto: " mi scusi c'ero io prima di lei". La persona mi chiede scusa e si mette dietro di me, dicendo che non mi aveva visto. Nel corpo sento la tensione scendere e al posto della rabbia una sensazione di soddisfazione. Decentramento: questa funzione fa si che la persona possa cogliere la prospettiva da cui l’altro osserva se stesso e il mondo, a prescindere dal proprio punto di vista o da stereotipi, riuscendo a ragionare sugli stati mentali dell’altro prendendo in considerazione i suoi desideri e scopi che possono essere diversi dai propri. Il contrario del decentramento è l’egocentrismo. Nell’egocentrismo vengono attribuiti all’altro pensieri, credenze, emozioni in base al proprio punto di vista. Per esempio: se ho imparato a leggere il mondo pensando che nessuna persona è degna di fiducia e tutti cercano di fregare l'altro, penserò che la persona che mi ha superato in fila al supermercato lo abbia fatto consapevolmente e che sapeva che prima c'ero io, ma ci ha provato per fregarmi ma gli è andata male perchè ha trovato me che non sto zitta. In questo modo, la protagonista dell'esempio ha attribuito all'altro pensieri, credenze e emozioni in base al proprio punto di vista. Metterci nei panni dell'altro significa vedere il mondo dal punto di vista dell'altro. Come leggerebbe lo stesso evento una nostra amica che invece vede il mondo come buono e senza cattive intenzioni? Avrebbe sentito la stessa rabbia? Che emozione avrebbe provato? e cosa avrebbe pensato? Ogni persona è diversa da noi e in una stessa situazione può comportarsi in modo diverso, provando emozioni e pensieri diversi dai nostri. Riuscire a decentrarci significa leggere il mondo con gli occhi dell'altro , conoscendo gli scopi e i desideri dell'altro. Differenziazione: questa funzione permette di riconoscere che i propri stati mentali sono rappresentazioni della realtà e non coincidenti con essa ma ipotetici. Quando esprimiamo un giudizio o una valutazione dobbiamo sapere che potrebbe non essere valida e non coincidente con quella dell'altro o con la realtà dei fatti. Riprendendo l'esempio del supermercato, la persona che ha superato la cassa è stata valutata da due persone diverse, in modo diverso. Una lo ha visto come un maleducato che vuole fregare le persone, l'altra come una persona sbadata magari che sta vivendo un brutto periodo che non si è accorto di averci superato. Entrambe sono ipotesi. Nessuna delle due è una realtà o una verità. Sono due letture diverse del mondo. Non sappiamo e non conosciamo le motivazioni del comportamento dell'altro. Integrazione: questa funzione è correlata al concetto di pensiero narrativo e di Sé autobiografico. La capacità di possedere una buona e coerente narrazione permette di integrare insieme tutti gli elementi cognitivi, somatici ed emotivi, di descrivere scenari mentali e interpersonali e di costruire un dialogo interiorizzato che dia un senso di continuità all’ Io. Un deficit di questa componente porta a rappresentazioni di Sè e dell’altro molteplici e contraddittorie e a confusione. Il percorso che propongo in terapia può aiutare la persona a migliorare la propria capacità di raccontarsi, in modo dettagliato, cercando di far chiarezza sulle emozioni e i pensieri problematici e sulle cause di questi. Considerare la propria lettura del mondo come ipotetica , comprendendo che una parte della sofferenza provata, è causata proprio da questa visione rigida. Aiutando la persona a trovare alternative di valutazione del mondo più coerenti con la realtà e flessibili. Successivamente si cercherà di integrare le varie rappresentazioni di Sé nella relazione con gli altri. .Affrontare il dolore generato dalla morte di una persona cara non è facile. Quando perdiamo una moglie, un marito, un figlio, un fratello o un genitore, la sofferenza diventa intensa e i sentimenti di vuoto, di perdita di un pezzetto di Sè sembrano diventare dominanti e avvolgono e influenzano la quotidianità. Tutto sembra non avere più un senso e stranamente irreale. La perdita può generare momenti di profonda confusione e periodi prolungati di tristezza o depressione. La tristezza tipicamente diminuisce di intensità col passare del tempo, ma il lutto è un processo importante da affrontare, per poter ritrovare se stessi e allo stesso tempo vivere e continuare ricordare dentro di Sè in modo più adattivo, il tempo trascorso con la persona amata. Ognuno reagisce in modo diverso alla morte attraverso le proprie risorse personali, ci si potrebbe riscoprire più forti di quanto si pensava o entrare in contatto con una fragilità che prima di allora non era mai emersa. Se il rapporto con il defunto era conflittuale, potrebbe volerci più tempo per riflettere su cosa è accaduto e sopratutto sulla relazione che si aveva con la persona persa, prima di potersi adattare alla perdita. Gli esseri umani sono per natura resilienti, ma per alcune persone la lotta contro il dolore schiacciante provato nel lutto può perdurare per lunghi periodi e portare ad una visione di Sè come inadeguati e incapaci anche delle più semplici azioni quotidiane. Quando il dolore e la sofferenza pervadono e sembrano essere diventate parti di Sè, è fondamentale la richiesta d'aiuto ad uno psicologo. Lo psicologo può aiutare la persona a comprendere il lutto, a normalizzare le emozioni e le reazioni che si stanno sperimentando, aumentando il senso di controllo e di adattamento. Quando qualcuno muore, non si perde unicamente la persona ma tante altre cose..i sogni del futuro, le speranze, i piani condivisi che si pensava di realizzare insieme, un appoggio, una presenza, una sicurezza. Aiutare le persone in lutto significa anche identificare ciò che hanno perso. Il cambiamento è una conseguenza inevitabile della perdita, e spesso si rifugge dal ciò, come se cambiare significasse fare un torto alla persona morta. Imparare ad adattarsi a i cambiamenti richiede tempo e fatica e fare spazio al dolore per poter piano piano muovere dei nuovi piccoli passi. Quando la morte avviene improvvisamente o prematuramente, molte assunzioni sulla vita vengono messe alla prova. E potrebbe nascere un forte senso di ingiustizia verso il mondo e il destino che ha permesso che ciò accadesse. Il dolore non è qualcosa che si può superare velocemente, ha bisogno che si ricreino dei nuovi equilibri dentro di Sè per poter ridurre la sua intensità. Il modello ondulatorio del dolore L'esperienza del dolore segue normalmente un movimento ondulatorio. Potrebbe silenziarsi per un lungo periodo e poi un evento può riportare ad intense emozioni anche dopo anni. Una data significativa, una canzone, una parola, una persona che assomiglia al proprio caro, possono riaprire una ferita. Cosa posso fare per aiutarti e cosa possiamo fare insieme? Narreremo più volte la tua storia, dando spazio ai pensieri e alle emozioni provando insieme a dare un senso a tutto ciò che è successo e piano piano ti sosterò nel riorganizzare la tua vita. Impareremo a gestire la paura, il senso di colpa, l'ansia che possono essere associati alla morte della persona cara. Affronteremo insieme il dolore cercando di fargli spazio e facendogli trovare una giusta collocazione dentro di te, dove non possa invadere la tua vita emotiva e relazionale. |
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