La claustrofobia è un disturbo d'ansia che si manifesta quando ci si trova in spazi chiusi o confinati che portano a sperimentare una sensazione di oppressione e mancanza di libertà di movimento. Una persona che soffre di claustrofobia potrebbe aver paura che in specifiche situazioni possa sopraggiungere un attacco di panico e, essendo luoghi confinati, non ci possa essere possibilità di fuggire o di chiedere aiuto. Se una persona che soffre di claustrofobia e si trova improvvisamente in uno spazio chiuso, può manifestare i seguenti sintomi:
Trattamento cognitivo-comportamentale della Claustrofobia I terapeuti possono aiutare le persone che soffrono di claustrofobia a sviluppare competenze per gestire la loro paura. Ciò implica la comprensione e la regolazione di pensieri e credenze che contribuiscono a creare l'ansia. La terapia cognitivo-comportamentale è un approccio in cui la persona è incoraggiata a confrontarsi e cambiare i pensieri e gli atteggiamenti specifici che conducono a sentimenti di paura.
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Oggi parleremo dell' incertezza e della difficoltà di alcune persone a tollerare di stare in questo stato. Nei quotidiani, ogni giorno, leggiamo notizie terribili: attentati terroristici, femminicidi, incidenti stradali, malattie. Nonostante ciò, la nostra vita continua a scorrere nella sua normalità. Guidiamo la macchina, andiamo al lavoro, torniamo a casa dalla nostra famiglia. Ma per alcune persone ciò non avviene e l'incertezza che qualcosa di brutto possa accadere da un momento all'altro è intollerabile e porta a modificare la propria vita. Vediamo come. Alcune persone vorrebbero un mondo perfettamente sicuro, per loro e per le proprie famiglie, ma purtroppo oggi è difficile che questo sogno possa avverarsi, essendo la quotidianità piena di minacce difficili da controllare. Anche se non ci pensiamo, i pericoli sono intorno a noi e le persone che hanno difficoltà a tollerare l'incertezza sono spesso attanagliate da tutta una serie di pensieri . Alcuni esempi:
Anche se questi pensieri possono essere spaventosi per tutti, la maggior parte di noi tende a non ascoltarli o ad accettare il rischio insito. Il nostro cervello spesso filtra queste possibilità attribuendogli un basso significato e ciò fa si che si perdano nel flusso dei nostri pensieri. Questo processo è generalmente automatizzato e può verificarsi in modo rapido tale da non farci rendere consapevoli di ciò che stiamo pensando. Questo non significa che se siamo inconsapevoli non potrebbe esserci la possibilità che ciò accada lo stesso. Ma come mai diventiamo attenti a questi segnali? In alcuni casi ciò può avvenire dopo un evento particolare. Per esempio.Se siamo stati recentemente coinvolti in un incidente stradale, sarà più facile percepire segnali di pericolo quando guidiamo. La memoria recente dell'incidente è fresca, ed è strettamente associata a segnali legati alla guida. Stimoli precedentemente neutrali (ad es. cambio corsie, strade interrotte) produrranno dal momento dell'incidente, ansia. La paura e l'ansia possono portare a comportamenti di evitamento o rituali per neutralizzare le potenziali minacce, accrescendo ancora di più l'incertezza stessa e producendo una possibile cronicizzazione del problema. Ogni qualvolta si mette in atto un'azione preventiva per evitare una possibile minaccia il sistema di rilevazione diventerà sempre più sensibile e pronto a coglierle, anche in assenza di reale pericolo. Nel trattamento della problematica è importante mostrare alla persona che può tollerare l'incertezza, accettando la possibilità di non essere mai totalmente al sicuro. "Solo perché non stai pensando a un pericolo potenziale non significa che non accadrà. Allo stesso modo, solo perché si sta pensando ad un possibile pericolo non significa che accadrà". L'incertezza e il dubbio possono riguardare vari ambiti di vita che possono essere diversi da persona a persona in base a ciò che è importante per l'individuo: la sicurezza della propria persona, la sicurezza delle persone che amiamo , questioni morali ecc. Solitamente questa problematica si riscontra all'interno del D. Ossessivo-Compulsivo che porta la persona a evitare ogni tipo di rischio finendo anche per abbandonare le cose che si amano . I pensieri ossessivi possono portare genitori a passare meno tempo con i propri figli perchè i pensieri suggeriscono che così saranno più al sicuro, studenti possono isolarsi e rinunciare a tante cose a causa dei loro pensieri. L'evitamento non è la risposta per la risoluzione della problematica, per cui si consiglia un percorso psicoterapeutico. Oggi parleremo di un timore ossessivo che si concentra sul dubbio di aver investito accidentalmente un pedone durante la guida o aver causato un incidente. Le persone con questa problematica cercano di risolvere il dubbio attraverso il controllo, per esempio ripercorrendo le strade più volte per essere sicuri che non ci siano incidenti. Altri rituali che spesso si osservano sono:
Rituali mentali .
Alcuni evitamenti
Ma cosa c'è dietro questo dubbio? La paura ultima solitamente è quella di aver causato un danno a qualcuno non ritenendo possibile immaginare di vivere il resto della loro vita con questa colpa. Il trattamento considerato efficace per il DOC è la terapia cogntivo-comportamentale. L'amore ha tanti volti e modi diversi di esprimersi, alcuni riflettono la presenza di un legame sicuro con il proprio partner e una risoluzione di possibili problematiche relazionali precedenti, altri di un amore contorto e doloroso. Vediamone insieme alcune situazioni che possono portare a sofferenza .
Un percorso psicologico può essere d'aiuto per far si che la persona a diventi consapevole degli schemi che ripropone all'interno delle relazione, il perchè li ripropone e essere aiutati nell'interrompere il copione che continuamente viene messo in atto. La paura di parlare al telefono è una fobia molto diffusa che può risultare invalidante socialmente sopratutto oggi che il telefono è entrato quotidianamente nelle nostre vite. Alcuni studi hanno visto che la paura di parlare al telefono, per alcune persone, è maggiore anche rispetto alla paura di parlare in pubblico. Solitamente questa fobia rientra tra i disturbi d'ansia sociale, dove in questo caso il dover utilizzare il telefono, attiva pensieri negativi che paralizzano la persona. Vediamo insieme alcuni di questi pensieri: -"probabilmente la telefonata andrà male" - " potrei sbagliarmi" - "balbetterò o potrei avere una voce tremolante" - "farò scena muta" - "non riuscirò a spiegarmi" In tutti questi pensieri la paura ultima è spesso quella di fare una figuraccia e essere giudicato male dagli altri. Solitamente la paura del telefono , almeno inizialmente, non colpisce il parlare al telefono con le persone familiari con cui si prova meno ansia. Ma perchè è più difficile parlare al telefono che vis à vis? Probabilmente perchè al telefono viene percepita solo la voce e l'attenzione dell'ascoltare è su quello che viene detto, e ciò rende più facile pensare che l'altro si possa maggiormente focalizzare sui possibili errori e notare le incertezze. Questi pensieri alimentano un circolo vizioso che porta un aumento dell'ansia e dei sintomi fisici correlati a questa emozione come : la sudorazione, l'aumento del battito cardiaco, il tremore della voce e la sensazione di mente vuota. Il disagio può diventare talmente grande da portare ad evitare di rispondere al telefono o chiamare, preferendo utilizzare per comunicare e-mail o sms. La terapia cognitivo comportamentale attraverso tecniche come l'esposizione, la ristrutturazione cognitiva, tecniche di rilassamento può aiutare la persona a sentire la minaccia, che risiede dietro alla telefonata, meno grave e arrivare a tollerare se ogni tanto una telefonata non va come ci si aspettava. Attraverso tecniche espositive si può iniziare gradualmente a riprendere confidenza con il telefono riducendo così gli evitamenti. E' per questo importante nNon esitate a chiedere aiuto in caso di necessità. "Non sono mai andato a cena fuori , mi piacerebbe molto esserne in grado, ma odio la sensazione che mi prende e il non poter fuggire" Oggi parleremo di una paura molto diffusa, quella di mangiare davanti agli altri. Immaginiamo le conseguenze che ci possono essere nella vita di una persona con questa paura: il lavoro e le relazioni sociali possono subire enormi limitazioni . Davanti a questo disagio le persone possono cercare di resistere e stare nell'ansia per tutto il pasto, oppure evitare del tutto. L' evitamento, come abbiamo spesso detto, crea un circolo vizioso che porta a mantenere il disagio rendendo sempre più difficile mangiare e bere di fronte agli altri. Inoltre l'evitamento porta a ritrovarsi spesso a mangiare da soli, declinando gli inviti, con enormi conseguenze per la propria vita sociale e per il proprio umore. Ma che cos'è che porta ad avere questa paura? La paura di mangiare e bere di fronte agli altri può essere innescata da una grande varietà di situazioni:
Spesso la paura di mangiare si intensifica in proporzione quanto sia complicato mangiare un determinato cibo. Per esempio gli alimenti che richiedono il cucchiaio come insalate, zuppe sono di solito più ansiogeni per il rischio di sbrodolarsi. Oppure gli spaghetti a causa della difficoltà nel riuscire a raccoglierli nella forchetta. Per quanto riguarda le bevande solitamente le più ansiogene sono quelle che possono macchiare per esempio il caffè o il vino. Ma quali sono i timori? Vediamoli insieme:
La ricerca sull' ansia sociale ha visto che alla base di tutti questi timori c'è la paura di fare una figuraccia e di essere valutati negativamente dagli altri. TRATTAMENTO La terapia cogntivo-compotamentale prevede l'individuazione dei pensieri automatici negativi e la sostituzione di questi pensieri con modelli di pensiero più razionali. Unita all'esposizione alle situazioni ansiogene. Mentre era intendo nell'esecuzione dei suoi quotidiani esercizi, un anziano fu interrotto da un cagnolino. Immediatamente il suo viso assunse un'espressione irritata, e si diresse verso l'animale, inizialmente cercò di allontanarlo lanciandogli lontano la pallina ma ciò non funzionò e spinto dall'istinto di liberarsi da quell'ospite indesiderato, l'anziano lanciò la pallina nel vuoto e il cagnolino per inseguirla cadde anche lui giù dalle mura del palazzo. L'anziano iniziò a sentirsi in colpa per ciò che aveva fatto e andò alla ricerca dell'animale. Lo vide privo di sensi su una roccia e lo portò con sè. Dopo un pò di tempo il cane si riprese e l'anziano ne fu felice. Il volto dell'anziano si illuminò e ora la sua quotidianità si era arricchita di un nuovo amico. Quando siamo presi dai nostri impegni e dalla nostra routine tendiamo ad agire in automatico, siamo tutt'uno con il nostro lavoro, con le nostre preoccupazioni da non accorgerci di ciò che abbiamo davanti tanto da non gioire di ciò che di positivo accade nel nostro presente, quelle novità e quello svago che una mente troppo "fusa" può interpretate come inopportune e fastidiose. Nel tentavo di scacciare ogni distrazione possiamo anche arrivare ad allontanare qualcosa d'importante o a compiere atti di cui potremmo pentirci o trascurare cose e persone. Vivere nel presente, significa accogliere quello che ci offre, ponendo attenzione anche alle piccole cose, nel qui e ora. La paura è una delle emozioni primarie fondamentali per la sopravvivenza. Grazie a questa emozione, che porta a mettere in atto una reazione difensiva, l'uomo ha superato minacce ambientali e nemici, a volte affrontandole e a volte scappando e è riuscito a non estinguersi. Oggi questa emozione è spesso considerata come qualcosa di negativo, da eliminare, associata alla credenza erronea che " chi ha paura sia un debole", "che i veri uomini non hanno paura", o " che provare paura sia sbagliato". In questo breve video, diretto ed animato da Nata Metlukh, la paura è rappresentata da un piccolo animaletto nero. Un ragazzo nota che tutte le persone si portano a presso le proprie paure. A volte la paura, quando è forte, ci immobilizza e non ci permette di vivere a pieno la vita, magari porta ad evitare alcuni luoghi, a non mettersi in gioco, a non esporsi, boicottando tutti i nostri piani. Ma la paura, ci aiuta anche ad essere prudenti e a riflettere sulle nostre azioni, per esempio ci fa stare attenti quando attraversiamo la strada, quando guidiamo e ci prepara ad affrontare una certa situazione valutata pericolosa per la sopravvivenza, facendoci decidere in pochi secondi se fermarci, fuggire o attaccare. Ma la paura si può attivare anche davanti ad eventi neutri e innocui per la maggior parte delle persone, in modo continuo, portando a limitarci in alcune aree della nostra vita. Anche dietro a questa attivazione c'è un pericolo come "la paura di fare una figuraccia", "la paura di balbettare", "la paura di volare".. La paura ci avverte di un pericolo e ha sempre le sue ragioni per esserci e senza di essa non potremmo schierare le nostre difese. Il rumore delle lancette che quotidianamente scandisce la nostra vita, così ha inizio il cortometraggio di cui vi parlerò oggi, che si intitola " Qui e Ora". Ogni mattina ripetiamo automaticamente gli stessi gesti, senza consapevolezza: chiudiamo la sveglia che suona, andiamo in bagno, ci vestiamo, prepariamo la colazione e usciamo di casa, il tutto controllando l'orologio per essere sicuri di non essere in ritardo per il lavoro e poi... BUM qualcosa non va secondo i piani. Il protagonista del cortometraggio ha la possibilità di ritrovarsi di nuovo nella stessa situazione per cercare di modificare il finale e per fare ciò utilizza diversi metodi: 1) prova a guardare la situazione dall'esterno continuando però a ripetere lo stesso schema. 2)cerca di modificare gli eventi esterni, cercando di controllarli ma anche qui senza modificare il suo agire. Infine prova a modificare ciò che da origine al suo comportamento, il ticchettio dell'orologio che scandisce le sue giornate. E' allora che il protagonista si ritrova nel momento presente, realmente consapevole di ciò che gli sta accadendo e del momento che sta vivendo. Lasciando andare il tempo può concedersi di respirare la natura che gli è attorno e, l'incanto di un nuovo giorno, gli salva la vita. Quando il personaggio del corto animato rompe l’orologio non ferma davvero il tempo ma ferma la sua ossessione del tempo e ciò gli permette di vedere il mondo con occhi nuovi. Se ci pensiamo ciò non è altro che una similitudine con i nostri schemi che ci portano ad agire sempre nello stesso modo, in situazioni simili e a leggere il mondo sempre con gli stessi occhiali. Quello che fa il protagonista del video è quello che spesso facciamo noi, quando pensiamo che qualcosa possa modificarsi da sola senza modificare però niente del nostro agito e del nostro pensiero. Quando invece modifichiamo il nostro modo di pensare e di vedere le cose e si inizia a vivere nel presente, lasciando il controllo e lasciando che le cose vadano come devono andare, godendo del qui e ora, la bellezza della vita viene vissuta in tutte le sue sfumature e il finale può cambiare. Una storia per.. cercare di non lottare contro le sensazioni, i pensieri e le emozioni dolorose1/4/2017 Il Samurai e la moscaIn una giornata come tante altre, durante la meditazione quotidiana, una mosca inizia a infastidire la concentrazione di un Samurai. Ad un certo punto il Samurai afferra la spada e uccide la mosca, pensando così di liberarsi facilmente del problema. La mosca in pochi secondi cicatrizza le proprie ferite e torna in vita duplicata. Il samurai sempre più infastidito inizia a lottare contro le mosche, ma più ne uccide e più tornano in vita numerose, la situazione sembra essere senza una via d'uscita. La stanza, in breve tempo, viene invasa dalle mosche e il samurai comprende che questa lotta non gli sta portando a niente se non ad amplificare il suo fastidio e il suo dolore. Ad un certo punto, torna a meditare osservando il rumore delle mosche per quello che è, un suono, che la nostra mente collega al ronzio delle mosche e lo etichetta come fastidioso, ma che potrebbe essere qualsiasi cosa e comprende che non è così fastidioso da non poterci stare e respirarci dentro. Quando il Samurai apre gli occhi, si ritrova con una sola mosca. Combattendo il Samurai aveva amplificato la sua sofferenza e il suo fastidio rendendolo più potente rispetto a quanto in realtà era. Questa storia ci può far comprendere come molta sofferenza viene auto-alimentata da tutte le energie che utilizziamo per evitare, scacciare, criticare tutto ciò che non può essere modificato. Spegnendo l'interruttore della lotta ci si libera del dolore in più, che viene chiamato nella terapia ACT dolore sporco, e rimane il problema per come era inizialmente, il dolore pulito. Dagli studi condotti dal dott. Kabath Zinn si è visto che la meditazione consapevole, la disponibilità ad aprirsi al dolore, osservandolo senza giudicare, imparandoci a stare nel qui e ora, prendendo ogni momento così come viene, permette di ridurre il livello di sofferenza. "La mente diventa un problema perché hai permesso che i pensieri arrivassero così in profondità dentro di te da dimenticarti completamente della distanza che c'è tra te e loro. Ti sei dimenticato che sono visitatori, che vanno e vengono." Osho |
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