Quando si svolge animazione all'interno di strutture per anziani bisogna tenere sempre a mente dei principi fondamentali. La persona deve essere posta al centro delle attività e per fare questo bisogna imparare a conoscerla, senza focalizzarci sulle sue difficoltà. Comprendere che cosa può riuscire a fare da sola e cosa no. Ogni persona è unica, con una storia alle spalle fatta di esperienze che hanno modellato la sua personalità portandola a sviluppare abilità e interessi. E' importante portare rispetto. Rispetto per l'anziano e la sua storia. Alcuni animatori tendono a relazionarsi con l'anziano in modo infantile o proponendo attività per bambini. Tali comportamenti possono far sentire l'anziano non capace e in una situazione di disagio. Quando l'utente afferma: "non sono un bambino, guarda come sono ridotto!" questo è un segnale che l'attività proposta non va bene, anzi va a sminuire la persona. E' importante che l'animatore sappia coinvolgere tutti i partecipanti. Le attività dovrebbero essere proposte in modo che non siano troppo facili, ne troppo difficili. L'ambiente dovrebbe essere tranquillo in particolar modo se sono presenti persone con deterioramento cognitivo. Non si chiede alla persona di portare a termine ciò che viene proposto ma che provi a farlo così come lo sa fare, indipendentemente dal risultato finale. L'animatore non deve svolgere l'attività al posto della persona, altrimenti viene perso il senso del suo lavoro. E' anche sbagliato assumere un atteggiamento da insegnante, che corregge o si sostituisce. Se si invia il messaggio che così come sta facendo non va bene, probabilmente la persona smetterà di fare anche quel poco che riesce a fare. Si deve cercare di offrire ai membri del gruppo attività alternative se quelli del programma non soddisfano le esigenze. Nessuno deve essere forzato a partecipare. E’ probabile che i riluttanti siano influenzati dal vedere gli altri divertirsi che dall’essere obbligati a partecipare. Non bisogna dare per scontato che una persona con demenza non sia in grado di partecipare. Bisogna dare tempo alla persona, le risposte e i movimenti sono più lenti. E' importante non sovraccaricarla di informazioni e aspettare che risponda. Se svolte adeguatamente, le attività di animazione possono essere utili a costruire e rinforzare le relazioni e mantenere attive le capacità, regalando alla persona emozioni positive e un senso di auto-efficacia.
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La Malattia di Huntington è una patologia ereditaria degenerativa che colpisce persone relativamente giovani. I sintomi subdoli piano, piano iniziano a creare difficoltà nei movimenti, nel linguaggio, nella deglutizione e a livello psicologico fino a rendere la persona completamente dipendente dai suoi familiari. I caregiver si trovano quindi a dover assistere il proprio caro e combattere contro la paura di andare incontro allo stesso destino. A volte è il figlio, ancora bisognoso di essere guidato da una figura genitoriale, che si trova ad occuparsi dell'assistenza. Emozioni, pensieri e difficoltà di un familiare
Avere un genitore malato può far sentire diversi dai propri coetanei La vergogna può portare a nascondere ciò che causa imbarazzo evitando di uscire con la persona malata o arrivare ad evitare i rapporti sociali esterni.
"perchè le persone non comprendono la situazione?" "perchè questo destino?" "perchè non riceviamo abbastanza aiuto?" Molte volte i sintomi comportamentali possono portare il malato a dire o fare cose che non intendeva come per esempio perdere il controllo per cose poco importanti o arrivare a momenti di aggressività. In questi casi bisogna ridurre le discussioni e comprendere che il comportamento della persona malata è dovuto alla patologia stessa.
E' importante potersi ritagliare del tempo per distrarsi e curare il proprio benessere.
La continua e difficile assistenza può portare all'isolamento. Essendo la malattia molto lunga si può arrivare a non ricordare come il proprio familiare era prima. La comunicazione deficitaria può portare a difficoltà nella relazione. Bisogna ricordare che la persona continua a provare sentimenti ed emozioni nonostante le difficoltà di espressione con la parola è quindi utile continuare a raccontare e a parlare con la persona malata anche se questa avrà difficoltà nel risponderci. La Malattia di Huntington detta anche Corea di Huntington, è una malattia ereditaria (autosomica dominante), neurodegenerativa, che colpisce il cervello e porta l'instaurarsi di movimenti coreici e deterioramento delle funzioni cognitive. In media si manifesta tra i 30 e i 50 anni ma possono esserci anche esordi tardivi o giovanili. Il decorso può essere suddiviso in tre stadi. L'aspettativa di vita è di circa 20 anni. Nel 1993 viene scoperto che il gene responsabile della trasmissione della malattia si trova nel cromosoma 4. Una parte di questo gene (la tripletta CAG) viene ripetuta più volte. Chi possiede nel proprio DNA 40 o più ripetizioni della tripletta CAG sul cromosoma 4, svilupperà nel corso della propria vita la malattia di Huntington. E' difficile prevedere quando i sintomi si presenteranno sopratutto per chi ha un numero di ripetizioni tra 40 e 50. Più raramente è possibile trovare un numero di ripetizioni superiore a 50. Questi casi molto rari indicano l'insorgere della Malattia di Huntington in età giovanile. LE FASI Prima fase: può presentarsi un lieve calo cognitivo e sintomi psicologici come depressione, ansia, apatia e difficoltà nel controllo delle emozioni.. Inoltre possono insorgere occasionalmente difficoltà nei movimenti volontari e tic/ smorfie facciali in presenza di fattori di stress. Bisogna sottolineare che i sintomi iniziali possono variare da persona a persona. Fase intermedia: iniziano a presentarsi i sintomi principali della corea: movimenti rapidi, involontari, aritmici e afinalistici. Interessano sopratutto i muscoli del tronco e quelli prossimali degli arti. E' come se la persona non controllasse degli scatti improvvisi. Con il progredire della degenerazione insorgono rigidità e bradicinesia ( lentezza motoria). L'equilibrio diventa instabile, insorge disartria, disfagia causando difficoltà nell'alimentazione e nel linguaggio. Il deterioramento cognitivo è di tipo frontale. I sintomi psicologici peggiorano con i sintomi motori e possono comparire allucinazioni. Fase grave: marcato rallentamento, posture distoniche. La persona diventa estremamente dipendente dal suo caregiver per svolgere qualsiasi attività. La difficoltà a deglutire può richiedere l'uso della PEG. LA CURA Non c'è ancora una terapia specifica. Il trattamento farmacologico riduce i sintomi permettendo di controllare i movimenti coreici. Il sostegno psicologico alla famiglia del malato può essere utile per gestire sintomi depressivi e ansiosi che potrebbero presentarsi nei figli della persona affetta da Corea di Huntington per la paura del manifestarsi della malattia. Per ridurre il senso di apatia e di isolamento si consiglia, soprattutto nelle prime fasi, la partecipazione ad attività ricreative e di socializzazione studiate in base al tipo di disabilità presente. La continua assistenza, dovuta ad una malattia così invalidante, finisce per colpire anche i familiari del malato, schiacciati da un peso psicologicamente pesante. Sono tante le emozioni che un familiare può provare: il senso di inadeguatezza, il non sapere come comportarsi in determinate situazioni o cosa fare, il senso di colpa, la vergogna, la tristezza nel non riconoscere più il proprio caro, la solitudine e la fatica nell'accettare la malattia. Rabbia La rabbia può essere rivolta:
Senso di colpa Il senso di colpa può manifestarsi quando:
Vergogna La vergogna si può manifestare:
Ansia L'ansia si può manifestare quando:
Tristezza
Il percorso d'accettazione della malattia inizia al momento della diagnosi ed è composto da alcune fasi: la negazione, l'ipercoinvolgimento, la rabbia, la tristezza e l'accettazione. Queste reazioni sono molto simili a chi vive un'esperienza di lutto. Stare vicino ad un proprio familiare malato significa prendersi cura di lui e seguirlo mentre piano piano inizia a perdere le sue capacità e la sua identità. Si ribaltano i ruoli familiari: chi si prendeva cura ora ha bisogno di cure. LA NEGAZIONE Alcuni pensieri che caratterizzano questa fase: "si saranno sbagliati i medici", " sarà un pò di stress", "è anziano saranno delle normali dimenticanze". In questa fase i familiari cercano di far comportare il malato come prima. Questa tappa è importante perchè ci permettere di metabolizzare quello che sta succedendo dandoci tempo per accettarlo. L'IPERCOINVOLGIMENTO Alcuni pensieri di questa fase: " forse da solo non ce la fa"; " potrebbe non riuscire"; "devo aiutarlo a stare bene" In questa tappa si tende a sostituire il malato per non metterlo nella condizione di fallire, ci si sente addosso la responsabilità dell'altra persona tendendo ad aiutarlo in tutto, anche quando non ne ha bisogno. Questa tappa permette al familiare di mantenere un'immagine sana del proprio caro ma, a lungo andare, diventa dannosa per il malato stesso per cui è importante allenare le sue capacità residue e continuare a fare quello che riesce a fare anche sbagliando. LA RABBIA Alcuni pensieri di questa fase: " non è servito a niente"; " perchè fa cosi"; " non ce la faccio più"; " sembra che ci faccia apposta per farmi perdere la pazienza" Dopo aver investito tante energie e non aver ottenuti risultati sorge la rabbia. L'assistenza diventa sempre più difficile e possono insorgere problemi comportamentali. Il malato ripete sempre le stesse cose, accusa gli altri e a volte sembra che insieme ad altre persone stia meglio e che ci faccia apposta. Rabbia e amore sono presenti contemporaneamente. LA TRISTEZZA E SOLITUDINE Ci si sente soli e si è consapevoli che la situazione non può cambiare. Alcune famiglie tendono ad isolarsi e rimanere in casa. Si perdono i contatti con la propria rete amicale e con i parenti. Si ha difficoltà a chiedere aiuto. Questo isolamento non fa altro che rendere più difficile l'assistenza. L'ACCETTAZIONE In questa fase avviene l'elaborazione che permette di raggiungere un nuovo equilibrio psicologico e interpersonale. Con il termine"vagabondaggio" o "wandering" si intende quel disturbo comportamentale che porta la persona affetta da demenza a vagare senza sosta e senza un apparente scopo. Le possibili cause che si attribuiscono al vagabondaggio:
Secondo Koopman at al, 1988, il vagabondaggio, come altri disturbi comportamentali, sono forme di gestione dell'ansia. Durante la notte, a causa del buio, la persona perde i suoi punti di riferimento, ciò produrrebbe un aumento dell'ansia che conseguentemente porterebbe al vagabondaggio. La noia agisce in modo simile al buio. Il non sapere cosa fare può provocare agitazione e far insorgere l'ansia. Cosa fare?
Negli ultimi anni si stanno diffondendo anche in Italia i giardini multisensoriali studiati e costruiti per la malattia di Alzheimer. Sono descritti come spazi protetti e sicuri e di solito li possiamo trovare come servizio all'interno di centri diurni e di residenze per anziani. Perché sono stati costruiti?
Molte delle paure e delle ansie delle persone affette da demenza derivano dalla sensazione di estraneità rispetto a un contesto fisico e umano di cui non ricorda. Immaginiamo di trovarci in un luogo estraneo con persone che non conosciamo che ci dicono che sono nostri parenti ma noi non li riconosciamo e l'unica cosa che vogliamo è tornare nella nostra casa con i nostri genitori. E' questa una delle sensazioni che prova il malato e che può portare ad agitazione, ansia e fuga. Inoltre, molto spesso, anche i cambiamenti di ambiente possono portare ad aumentare la sintomatologia, disorientando ancora di più la persona. Es. un periodo trascorso in un posto diverso come una casa al mare. La persona trovandosi in un luogo a cui non è abituato, dove tutto è diverso: la posizione del letto rispetto al bagno, la posizione dei mobili, l'interruttore della luce ecc. può sentirsi più agitato e in ansia. Inoltre, dopo lo spostamento, la persona può avere difficoltà a orientarsi di nuovo nella propria abitazione. Anche nell'ambiente quotidiano è sconsigliabile effettuare cambiamenti nell'arredamento come modificare la posizione del letto. L'anziano istituzionalizzato Il trasferimento in una residenza protetta è anche questo preceduto da una fase di disorientamento che sembra durare circa 30 giorni chiamata " la sindrome del primo mese". La persona si ritrova in un nuovo contesto, con nuove persone e ciò può portare a delle reazioni di confusione, apatia, rifiuto, regressione e ostilità. L'ingresso nelle RSA segna un momento particolare per la persona che lascia il suo ambiente per varcare un nuovo mondo. In alcuni casi può presentarsi una sintomatologia detta delirium (leggi l'articolo a riguardo). |
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