La terapia che come strumento utilizza le bambole è chiamata "Doll Therapy" o “Empathy Doll” e è nata grazie al contributo della terapeuta Britt-Marie Egedius-Jakobsson in Svezia, un paese specializzato nella produzione di questi oggetti. Le origini della terapia bambola L'uso terapeutico della terapia bambola trova le sue fondamenta a livello teorico dal lavoro dello psicologo John Bowlby da cui nasce il concetto di attaccamento. (1969). Negli ultimi anni, la sua spiegazione teorica sull'attaccamento, è stata applicata a persone affette da demenza. Miesen (1993) suggerisce che il bisogno di attaccamento delle persone con demenza, come il ricercare continuamente i genitori, indica insicurezza e il bisogno di ricongiungersi ad una figura familiare. Stephens et al (2012) sembrano essere d'accordo, affermando che le esperienze di perdita, di separazione e l'insicurezza sono tutti i temi della teoria dell'attaccamento che possono essere rintracciati nell'anziano. Oggi, la terapia della bambola viene considerata una delle terapie non farmacologiche che possono essere utilizzate con persone con Alzheimer. L'ideatrice di questa terapia è Britt Marie Egidius Jakobsson, psicoterapeuta che verso la fine degli anni Novanta la utilizzò per aiutare il suo bambino affetto da autismo. Il Dott. Ivo Cilesi è il responsabile della sperimentazione della terapia in Italia. A favore e contrari. I sostenitori della terapia bambola suggeriscono che il suo uso può aiutare la persona ad esprimere i bisogni insoddisfatti. Boas (1998), invece, ha criticato l'uso della terapia della bambola perché sembra trattare l'individuo con demenza in un modo 'infantile'. Salari (2002) sostiene che la vecchiaia non dovrebbe essere usata come una seconda infanzia. Ad oggi non c'è un supporto teorico per l' uso delle bambole nella pratica clinica. Evidenza empirica. Alcuni studi: Moore (2001) ha notato che l'uso della bambola portava ad una riduzione dell' agitazione, dell'aggressività e del vagabondaggio. Verity (2006) ha sottolineato i benefici sociali e comportamentali: "se la persona con demenza sorride, batte le mani quando ha una bambola in braccio, come si può dire che questa attività è inaccettabile?" I Limiti di questi studi: essi tendono ad essere osservazioni e le loro conclusioni non sono supportate da misure validate e rigorose. James e coll. (2006) hanno fornito 30 giocattoli (15 bambole e 15 orsi) in una casa di cura. Con la scala Likert, sono stati misurati i livelli di attività, agitazione e felicità. La maggior parte dei 14 residenti che hanno partecipato a questo studio in generale sembrava essere meno ansioso. Risultati simili sono riportati in uno studio di Ellingford et al (2007) su 66 residenti (di cui 34 hanno interagito con le bambole e 32 no) per un periodo di 6 mesi .Gli autori hanno riferito che in seguito all'introduzione della terapia con la bambola, i residenti hanno dimostrato miglioramenti significativi aumentando l'emissione di comportamenti positivi. Minshull (2009) nel suo studio utilizza nuovi strumenti di misura e osserva un aumento del benessere, che si riflette in ridotta agitazione, miglioramento dell'umore, aumento dell'appetito e una riduzione del vagabondaggio. La terapia della bambola, nella cura della demenza, non è stata studiata solo nel Regno Unito. Tamura et al (2001) hanno condotto uno studio in Giappone. Hanno scoperto che le bambole che avevano tratti più realistici erano meglio accettate e che i benefici terapeutici erano presenti nelle persone affette da 'demenza grave' e che il suo utilizzo ha contribuito a ridurre ansia, aggressività e vagabondaggio". Nakajima et al (2001) ha svolto uno studio simile in Giappone utilizzando animali invece di bambole. Non forniscono pero alcun fondamento teorico alla loro studio, nonostante i risultati che appaiono favorevoli. In Italia In un articolo Ivo Cilesi afferma che: " la bambola deve avere caratteristiche particolari (peso, posizione delle braccia e delle gambe, dimensioni e tratti somatici). Tramite l’accudimento la persona attiva relazioni tattili e di maternage che favoriscono la gestione e in alcuni la diminuzione di disturbi del comportamento quali agitazione, aggressività, apatia, comportamento motorio non adeguato". Una bambola o un bambino? Secondo Andrew (2006), la bambola deve essere presentata al malato in un modo da permettere alla persona di stabilire se si tratta di un bambino o una bambola giocattolo. È interessante notare che, se la bambola è percepita come un bambino, la persona con demenza non correggere questa percezione. Secondo Ivo Cilesi si possono verificare tre possibilità quando si presenta la bambola all'anziano: la prima è che viene riconosciuto come oggetto inanimato e quindi non viene considerato come elemento di attaccamento. Nel secondo caso la bambola viene accudita e riconosciuta come un bambino. Nel terzo si possono alternare momenti di attaccamento a indifferenza e rifiuto. Il problema di dire o no la verità nella cura della demenza non è qualcosa di nuovo. Schermer (2007) stabilisce che anche se la menzogna è sbagliata, può essere giustificata in alcuni casi. James ed altri (2006) hanno anche pubblicato delle linee guida etiche per quando potrebbe essere opportuno mentire a persone affette da demenza. Come si utilizza? Di solito la bambola viene somministrata in momenti specifici della giornata, valutando i progressi attraverso griglie di osservazione. Può essere proposta anche in momenti della giornata caratterizzati da apatia o agitazione esempio nel momento dell'igiene. Bibliografia Gary Mitchell , Hugh O’Donnell. The therapeutic use of doll therapy in dementia. British Journal of Nursing, 2013, Vol 22, No 6. Ivo Cilesi. Pazienti Alzheimer: Disturbi del comportamento e sperimentazioni. Annalisa Scarpini-psicologo clinico- riceve ad Ancona
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La limitata efficacia delle terapie farmacologiche nel rallentare il processo dementigeno, ha permesso di dirigere l'attenzione verso nuovi strumenti : " le terapie non farmacologiche".
Di queste " terapie" si è iniziato a parlarne circa 10 anni fa quando è stata sottolineata la necessità di esercitare le abilità residue per non perderle o comunque per non perderle troppo rapidamente e di migliorare la qualità della vita del malato Cosa sono le terapie non farmacologiche? Sono degli interventi non chimici, mirati e replicabili, centrati sulla persona che agiscono sulla sfera cognitiva, comportamentale, relazionale ed emotiva. Questi interventi non hanno lo scopo di recuperare le abilità compromesse ma di rallentare l'impatto della malattia. Premessa Prima di qualsiasi intervento l'operatore dovrà valutare le competenze residue della persona, oltre che la presenza o meno di disturbi comportamentali per poter costruire un trattamento a doc. Tecniche psicologiche e approcci teorici:
Bibliografia: C. Fagherazzi, P. Stefinlongo, R. Brugiolo. Trattamento farmacologico e non farmacologico della demenza di Alzheimer: evidenze. G Gerontol 2009;57:222-233 Annalisa Scarpini-psicologo clinico- riceve ad Ancona Nel 2011 viene pubblicato l’articolo “Dementia With Lewy Bodies: Diagnosis and Management for Primary Care Providers” da parte degli autori Melanie Zupancic, Aman Mahajan e Kamna Handa. Lo scopo della loro ricerca è quello di aiutare i professionisti della salute a differenziare la Demenza a corpi di Lewy ( DLB ) dal morbo di Alzheimer e dalla Demenza di Parkinson. Gli autori hanno raccolto i dati effettuando una ricerca tramite il sito “ PubMed “, senza effettuare restrizioni di data e focalizzandosi solo su articoli in lingua inglese. Sono stati recuperati 2.967 articoli che poi sono stati ulteriormente selezionati per contenuti specifici eliminando le informazioni ripetitive fino ad arrivare a riassumere nel loro lavoro 62 articoli. La demenza con corpi di Lewy ( DLB ) rappresenta il 15 %- 35 % di tutte le demenze e colpisce maggiormente gli uomini rispetto alle donne, con un rapporto di 2:1. La demenza con i corpi di Lewy è stata scoperta dello scienziato Friederich Lewy intorno al 1900. Lui osservò la presenza di alcune proteine anomale nell’area encefalica che, mettevano in moto un meccanismo di rimozione della dopamina, provocando sintomi parkinsoniani. Inoltre notò la presenza di placche e grovigli neurofibrillari simili a quelli presenti nei soggetti con malattia di Alzheimer. Condividendo alcuni meccanismi biologici sia con la malattia d’Alzheimer che con la malattia Parkinson è facile immaginare come nella DLB confluiscano sintomi presenti nelle due demenze. Per fare diagnosi di DLB occorre che sia presente un decadimento cognitivo progressivo di entità tale da interferire con le normali attività sociali o lavorative. Il disturbo di memoria può non essere presente nelle fasi iniziali ma di solito compare con il progredire della malattia. Particolarmente presenti sono invece i deficit attentivi, delle funzioni esecutive e delle abilità visuo-spaziali. Inoltre nella maggior parte dei casi sono presenti: fluttuazioni cognitive, allucinazioni visive (ricorrenti, vivide e ben strutturate), parkinsonismo, spiccata sensibilità ai neurolettici, diminuito uptake del trasportatore della dopamina a livello dei nuclei della base, cadute ricorrenti, depressione, ipotensione ortostatica e incontinenza urinaria. Non è facile diagnosticare una DLB. Spesso i pazienti arrivano dal medico senza sintomi psicotici, ma con deficit cognitivi e motori, portando così ad una diagnosi di malattia di Alzheimer o di morbo di Parkinson. Invece altri pazienti, in fase iniziale, possono essere erroneamente considerati come affetti da un disturbo psicotico primario. Diagnosi differenziale con la Malattia d’Alzheimer. In particolare si è visto che a parità di età, istruzione e punteggio al MMSE (Mini Mental State Examination) i soggetti con DLB mostrano di cadere nelle prove visivo-percettive, nel ragionamento non verbale, nell’attenzione e nelle funzioni esecutive rispetto ai soggetti con malattia d’Alzheimer. Le fluttuazioni dello stato di coscienza, nella DLB, variano per intensità e durata. (Per esempio nelle “giornate buone” i pazienti possono svolgere le normali attività quotidiane e partecipare a conversazioni complesse ma, dopo poche ore, possono non riuscire a trovare la loro camera da letto, avere allucinazioni e deficit motori evidenti) La presenza di allucinazioni visive complesse è una caratteristica determinante per una corretta differenziazione tra malattia d’Alzheimer e DLB. Infatti le allucinazioni sono un sintomo presente già nelle fasi precoci della DLB mentre, come abbiamo già detto, la memoria può essere relativamente preservata. Diagnosi differenziale con il morbo di Parkinson La gravità dei sintomi exstrapiramidali è paragonabile a quella presente nei soggetti con il morbo di Parkinson. Di solito se i deficit cognitivi compaiono entro 12 mesi dai sintomi motori stiamo parlando di una DLB. Altrimenti ci troviamo di fronte alla malattia di Parkinson con demenza dove i deficit cognitivi insorgono molti anni dopo la comparsa dei sintomi motori. Altre differenze tra Morbo di Parkinson e DLB includono una minore presenza di tremore a riposo ma una più elevata instabilità posturale con incurvamento della schiena, atassia e immobilità del viso. Inoltre la risposta alla L-dopa è inferiore nei Pazienti con DLB rispetto a quelli con Morbo di Parkinson Disturbi del sonno Nella DLB è presente un disordine comportamentale del sonno (RBD) caratterizzato dalla presenza di sogni vividi con complessi schemi motori agiti nella fase Rem attraverso la parola e il movimento. Spesso questi disturbi del sonno sono presenti molti anni prima della comparsa di una malattia neurodegenerative alfa-sinucleinopatie (come il morbo di Parkinson, l’atrofia multisistemica e la DLB) In alcuni casi, durante il sonno, è anche stata riscontrata la presenza di comportamenti violenti. Sensibilità neurolettica In molti casi viene preso in considerazione l’uso di antipsicotici nella popolazione affetta da DLB. L’uso di questi farmaci non è privo di rischi infatti può portare alla così detta “sindrome da sensibilità a neurolettici” caratterizzata da un aumento del tono muscolare, rigidità e bradicinesia. Una diagnosi accurata è fondamentale per una terapia farmacologia efficace. Bibliografia Zupancic, M., Mahajan, A., Handa, K. (2011), Dementia With Lewy Bodies: Diagnosis and Management for Primary Care Providers |
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