La stimolazione cognitiva. La stimolazione cognitiva non ha come obiettivo il recupero delle abilità cognitive perse o danneggiate ma il mantenimento di quelle funzioni che ancora non sono state compromesse dalla malattia. Si parla di stimolazione cognitiva nelle patologie neuro-degenerative come nella demenza, dove non è possibile un recupero ma, attraverso un costante allenamento, si può cercare di contrastare l'impatto della malattia. Inizialmente viene fatta una valutazione del soggetto per comprendere su quali capacità residue lavorare e in che modo. Gli esercizi sono quindi rivolti a stimolare quelle funzioni e abilità non ancora colpite dalla degenerazione. La riabilitazione cognitiva. La riabilitazione cognitiva ha come obiettivo il ristabilire il funzionamento cognitivo il più vicino possibile a com'era prima dell'insorgenza della compromissione. In questo caso si mira ad un recupero delle abilità cognitive danneggiate . E' rivolta a soggetti di qualunque età che hanno subito una lesione cerebrale. Dopo un' attenta valutazione neuropsicologica viene concordato il piano d'intervento. Esistono due metodi:
La stimolazione cognitiva rivolta ad anziani attivi. Sessioni di "ginnastica mentale"sono utili per allenare le funzioni cognitive anche di persone che non hanno nessuna compromissione ma che vogliono sentirsi attive sul piano cognitivo. Nel corso degli incontri vengono proposte nuove tecniche di memorizzazione, vengono allenate le capacità di attenzione, di ragionamento, di memoria e di linguaggio permettendo l'acquisizione di una maggiore fiducia nelle proprie capacità.
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Il 16 Novembre 2015 si terrà presso il Centro Papa Giovani XXIII di Ancona il seminario dal titolo: "Relazionarsi e comunicare efficacemente con l'anziano fragile e affetto da demenza in struttura o a domicilio". Dalle ore 15 alle ore 19. Le abilità comunicative e relazionali, da sempre, risultano indispensabili nelle professioni sociali. L’allungamento della vita ha portato tra le conseguenze un aumento delle fragilità e delle sindromi geriatriche. A causa di problematiche cognitive come la demenza, molti anziani perdono la capacità di comunicare e di utilizzare correttamente le parole, diventa quindi fondamentale per chi assiste riuscire ad entrare in contatto con la persona in un nuovo modo. Numerose teorie sono nate in Italia nell'ultimo ventennio per far fronte a queste difficoltà. Tra queste l’Approccio Capacitante. Questo metodo mira a riconoscere le competenze elementari del conversante, comprendere la persona che si ha davanti tramite l’ascolto e l’osservazione, utilizzare tecniche per tenere viva la conversazione anche quando sono presenti oggettive difficoltà, creare una conversazione felice restituendo dignità e competenza all'anziano. Il seminario proporrà una parte teorica seguita dalla lettura e dalla discussione di alcuni dialoghi portando attenzione alle parole scambiate tra operatori e anziani assistiti .Lo scopo del corso è quello di informare e formare gli operatori sanitari e le figure professionali che si occupano dell’assistenza all'anziano fragile e trasmettere competenze per migliorare l’abilità comunicativa e relazionale. Argomenti trattati:
Per avere maggiori informazioni potete contattare il Centro Papa Giovanni XXIII di Ancona: [email protected] oppure tel.071 2140199 I centri diurni sociali per anziani sono strutture a regime semiresidenziale rivolti a persone semiautosufficienti o non autosufficienti che hanno come obiettivo quello di favorire la socializzazione, mantenere più a lungo possibile le autonomie e dare un sostegno ai familiari. All'interno del diurno è presente un animatore che ha il compito di proporre attività e coinvolgere le persone presenti e operatori socio sanitari specializzati per aiutare chi ha più difficoltà. L'ingresso all'interno di un centro diurno La persona anziana ha una sua routine, un suo ambiente familiare, gli oggetti a cui è affezionata e la sua casa piena di ricordi. La malattia può renderla meno indipendente: potrebbe passare più tempo davanti al televisore, interessarsi meno alla quotidianità, non riuscire ad andare a fare la spesa e a cucinarsi da sola, non sentirsi più sicura nei movimenti. Queste ed altre osservazioni potrebbero far pensare ad un centro diurno come soluzione per trascorrere il tempo in modo più attivo, per socializzare e per non rimanere da soli in casa. Dopo aver scelto il centro adatto arriva il giorno della prima prova. Per le persone affette da deterioramento cognitivo questo giorno porta con sè tante emozioni diverse. La persona con demenza non sa dove la stanno portando i suoi familiari, anche se magari le è stato spiegato più volte. Dopo l'ingresso in questo nuovo posto, un operatore si avvicina e cerca gentilmente di accoglierla mostrandole il luogo mentre i suoi familiari la salutano e piano piano escono dall'edificio. La persona, sopratutto se affetta da demenza, potrebbe spaventarsi. Non vuole rimanere da sola perchè ha paura di un ambiente nuovo, persone nuove, di non essere più come prima, di essere abbandonata e non si sente di affrontare novità senza aver vicino la figura di riferimento. E' difficile il distacco e dover adattarsi ad un nuova routine anche se solo parzialmente. Nelle demenze il tempo scorre in modo diverso e ogni giorno si riprova la sensazione di perdita. Durante i primi giorni, la persona, chiede più volte dov'è il proprio marito o la propria moglie ("quando arriva gliene dico quattro"), a che ora andrà a casa, guarda dalla finestra per cercare la propria figura di attaccamento e, in alcuni casi, può provare ad uscire. In questa fase le persone vanno rassicurate e è compito degli operatori farlo e non stancarsi di farlo. E' importante dare spazio alla persona, farsi raccontare la sua storia anche se sono presenti problemi di linguaggio e di memoria, far sentire che comprendiamo le emozioni che prova e coinvolgerla in attività di gruppo. Il nuovo utente deve trovare negli operatori dei punti di riferimento familiari. Naturalmente, dopo un periodo che va da una settimana a un mese, avviene l'adattamento sopratutto se gli operatori sono riusciti a donare emozioni positive ed ad entrare in sintonia con la persona facendola sentire protetta e rispettata. La Sclerosi Multipla è una malattia neurologica che colpisce la sostanza bianca del cervello e del midollo. L' esordio sembra collocarsi tra i 20 e i 40 anni. Negli ultimi anni sono aumentati gli esordi precoci intorno ai 15 anni e quelli tardivi dopo i 50 anni. Colpisce in prevalenza le donne con un rapporto F/M 2:1. I sintomi sembrano presentarsi in varie forme e, la loro frequenza, sembra variare in base all'età. Si è visto che i disturbi motori e sensitivi prevalgono nei soggetti con più di 40 anni, mentre nelle persone più giovani sembrano prevalere i problemi visivi e di oculomozione. Cosa succede nel cervello? La sclerosi multipla provoca un danneggiamento nella guaina mielinica che ricopre gli assoni, che sono una parte importante delle cellule del cervello perchè permettono di trasmettere gli impulsi/comunicazioni da una cellula a un'altra. Gli attacchi possono avvenire in tempi e zone diverse producendo infiammazione e, a causa della demielinizzazione, un rallentamento nella comunicazione nelle zone colpite. Per esempio: uno stimolo visivo a causa della riduzione della guaina mielinica che trasporta le relative informazione, raggiungerà la corteccia visiva in tempi più lenti. Le Forme di sclerosi multipla: La SM ha caratteristiche assai variabili nel suo decorso. I sintomi iniziali possono regredire totalmente o parzialmente o possono peggiorare progressivamente.
La malattia sembra esordire nella maggior parte dei casi con particolari disturbi e segni:
La terapia del treno è una terapia non farmacologica che nasce in Olanda e ha come obiettivo quello di migliorare la qualità della vita delle persone affette da demenza. Obiettivi specifici: ridurre i sintomi comportamentali, stimolare i sensi e le funzioni cognitive. In che cosa consiste? Viene ricreata la sala d'aspetto di una stazione ferroviaria e il vagone di un treno con i i classici sedili da viaggio. Guarda le foto: qui Il finestrino è rappresentato da un televisore che trasmette immagini registrate di paesaggi che si susseguono per ricreare l'idea di essere in treno. Le poltrone sono posizionate frontalmente le une alle altre per favorire la comunicazione tra "passeggeri". La terapia è utilizzata in particolar modo per prevenire i disturbi comportamentali che lo spazio ristretto delle RSA e dei centri diurno facilitano. Dopo aver timbrato il biglietto del treno si inviterà la persona a salire accompagnato da un operatore. Durante il viaggio l'operatore ha il compito di stimolare le persone propense a dialogare e a stare vicino a quelle che preferiscono rilassarsi guardando dal finestrino. Se la persona riesce a mostrare piacere da questa attività, condividere ricordi, mostrare segnali di relax allora la terapia ha avuto un risultato positivo. Se i disturbi comportamentali si accentuano e se la persona si sente costretta allora la terapia da un esito negativo. La sperimentazione di questa terapia è ancora in atto, quindi non sono presenti dati scientifici rispetto alla sua validità. Questa terapia non farmacologica nasce in Olanda negli anni '70 ed ha come obiettivo la stimolazione dei cinque sensi: vista, udito, tatto, gusto e olfatto. Questo approccio nasce per le persone con disabilità intellettiva e problemi di apprendimento. Solo negli ultimi anni è stato sperimentato anche con gli anziani fragili con decadimento cognitivo. Gli studi presenti in letteratura sembrano dimostrare degli effetti positivi nelle persone affette da demenza per quanto riguarda il tono dell'umore, l'aggressività, l'ansia e l'apatia. Come creare una stanza multisensoriale: Per la stimolazione della vista: effetti luminosi, colori, immagini, giochi d'acqua Per la stimolazione dell'udito: musiche rilassanti, suoni Per la stimolazione del gusto: assaggi di cibo Per la stimolazione dell'olfatto: aromi, profumi Per la stimolazione del tatto: pannelli tattili La persona è libera di scegliere se interagire con l'ambiente e con cosa, accompagnata dall'operatore. Durata: 30 minuti circa, una o due volte a settimana. Da valutare in base alle caratteristiche e alle problematiche della persona. Il "Nurturing touch" è una Terapia Neozelandese detta anche " tocco che nutre" ideata da Peggy Dawson, circa 30 anni fa. L'obiettivo è dare sollievo alle persone malate e migliorare la qualità delle loro vite. Negli ultimi anni, anche in Italia, si stanno diffondendo corsi di formazioni per operatori e familiari riguardanti questa nuova terapia non farmacologica che inizia ad essere utilizzata anche all'interno delle strutture. E' difficile poter comunicare verbalmente con una persona con una patologia neurologica degenerativa, sopratutto nelle ultime fasi se non attraverso il contatto fisico e l'affetto. "Il nurturing touch" va oltre le parole e è rivolta alle persone affette da malattie gravi ormai agli ultimi stadi. Il tocco di cui si parla fa riferimento a dei massaggi specifici in grado di trasmettere conforto, affetto e far sentire la persona accolta. L'operatore deve saper trasmettere calma, deve essere consapevole di quello che sta facendo e deve trovarsi in uno stato d'animo in grado di "offrire all'altro". Per fare questo deve liberarsi dei problemi quotidiani e essere presente nel qui e ora con la persona. Prima del massaggio si cerca di porre attenzione al proprio respiro e poi, utilizzando tecniche immaginative, arrivare ad uno stato d'animo tranquillo in modo da potersi concentrare solo sulla persona che si ha davanti e sul quello che le si vuole trasmettere. Il massaggio " che nutre" ha bisogno di doti umane più che di tecniche per questo può essere insegnato facilmente ai familiari. Su cosa si basa il massaggio? Le carezzare e il contenimento sono le modalità più utilizzate in particolar modo come cure palliative. A queste si aggiungono le tecniche di massaggio di base. Quali parti del corpo sono interessate? I piedi, il braccio e la mano e a volte la schiena. L'aggressività è una delle manifestazioni comportamentali che può comparire in alcuni anziani affetti da demenza. Può essere espressa sul piano verbale e/o fisico. Queste manifestazioni, che sembrano presentarsi in modo improvviso, hanno spesso una causa anche se a volte appare incomprensibile per chi assiste. La persona affetta da demenza, avendo una compromissione cognitiva in varie aree, ha difficoltà ad interpretare gli eventi intorno a lui e ciò che gli viene richiesto. L'aggressività viene quindi utilizzata come una modalità di difesa verso qualcosa che viene interpretato come una minaccia. A causa dei disturbi di comprensione del linguaggio la persona può non comprendere cosa sta accadendo e vedersi persone che lo spingono per fargli fare qualcosa potrebbe agitarlo. Allo stesso modo quando la produzione linguistica è deficitaria il comportamento non verbale può diventare il canale comunicativo privilegiato per manifestare il disagio rispetto ad una situazione. Un dolore, un bisogno, un fastidio, una paura possono essere espressi con ansia, agitazione e aggressività. Che cosa fare?
Come prevenire?
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