Come cogliere i segnali che il nostro caro con demenza non è più in grado di guidare la macchina6/11/2016 "Le persone con demenza hanno una probabilità di essere coinvolte in un incidente d'auto fino a 8 volte di più degli altri anziani. Ma nelle prime fasi della malattia, le persone con una diagnosi di demenza spesso possono guidare in modo sicuro" Gruppo di studio sul Journal of the American Geriatrics Society. Una riduzione delle facoltà cerebrali, come avviene nella demenza, può pregiudicare la capacità di guidare. Ciò non significa tuttavia che chi ha una demenza allo stadio iniziale debba automaticamente non portare più la macchina, ma che probabilmente dovrà farlo ai primi segnali di progressione della degenerazione delle facoltà cognitive. Rinunciare alla guida è difficile per ovvi motivi: smettere di guidare significa non essere più indipendenti, dover essere accompagnati ogni volta che si desidera uscire, appoggiandosi sempre più sulle persone vicino, perdere la propria libertà , perdere l'idea di se stessi come persone abili e capaci. Le difficoltà che si possono riscontrare alla guida e che rappresentano segnali di allarme per i familiari:
Quando si nota una difficoltà alla guida è importantissimo parlarne con il proprio medico di base. Talvolta la persona non è consapevole di avere delle problematiche e di essere un pericolo per se stesso e per gli altri. In questi casi è importante che il familiare salga come passeggero e monitori la guida del proprio caro frequentemente cercando di osservare quanto effettivamente ha bisogno d'aiuto. Nelle prime fasi della malattia è importante anticipare la possibilità di non poter più riuscire a guidare con il progredire della demenza. Nelle fasi moderate, parlarne e cercare di farlo riflettere sembra non essere una strategia di successo. Cercate quindi di contattare il vostro medico e farvi aiutare a spiegargli la situazione e chiedetegli di redigere una certificazione attestante che la persona in questione non può guidare. Continuate ad effettuate gli accertamenti valutativi presso le unità della memoria della vostra città e cercate di convincerlo a non guidare. L'Alzheimer Association consiglia, come ultima risorsa, di far in modo che la macchina non funzioni o di proporgli di regalarla ad un nipote.
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L' Anosognosia è un disturbo neuropsicologico che causa una mancanza di consapevolezza nel riconoscere di avere un deficit (motorio, cognitivo o emotivo). La persona non sa di essere malata, anzi è convinta di avere ancora le capacità che ha perso. L' Anosognosia è da tempo riconosciuta nei soggetti con: tumori cerebrali, la malattia di Huntington e ictus e nelle demenze dove questo sintomo è presente in circa l' 81% delle persone con malattia di Alzheimer. L'anosognosia rende ancora più ardua l'assistenza. Come è possibile aiutare qualcuno che sostanzialmente non riconosce di avere un problema… e rifiuta di essere aiutato? La persona può infatti avere problemi evidenti in compiti di routine quotidiana, senza rendersene conto o può rifiutare di andare a visite mediche o di prendere medicinali. L' anosognosia può essere completa o parziale. Completa quando c'è una totale inconsapevolezza della malattia. Parziale quando la persona è più o meno consapevole di avere talvolta dei problemi ma li sottovaluta, pensando che ad una certa età capita a tutti di avere delle dimenticanze. Cosa fare in presenza di anosognosia?
Esempio 2 "Per stare al passo con i pagamenti delle bollette, si dovrebbe lavorare almeno in due. Verrò sabato mattina per controllarle insieme". invece di "Devi pagare queste bollette in tempo. La società dei servizi ha inviato una comunicazione minacciando di spegnere il gas ed elettricità. Ci penso io alle bollette da ora in poi. "
Il metodo Validation nasce grazie a Naomi Feil che tra il 1963 e il 1980 ha elaborato questo nuovo approccio. La terapia di validazione viene utilizzata per comunicare con gli anziani disorientati aiutandoli a riconoscere i loro sentimenti e le loro emozioni. I benefici della terapia di validazione sono: • Ripristino dell' autostima • diminuzione dell'isolamento • promozione della comunicazione e interazione con altre persone • riduzione dello stress e dell'ansia • assistenza nella risoluzione dei compiti di vita quotidiana • mantenimento di una vita indipendente il più a lungo possibile (Neal e Briggs, 2003). Alcuni esempi pratici Quando un paziente con demenza vive in un altro tempo e in un altro luogo può essere utile validare le emozioni e i pensieri sui problemi che sta vivendo in quel momento anche se non appartengono al "qui e ora". Un esempio: una donna diventa agitata ogni giorno alle ore 13:00 perché crede che sua madre la sta per venire a prendere. Le persone vicino/ gli operatori le dicono che sua madre non è più viva. Questo tipo di risposta aumenta l'agitazione e la tristezza. Con un addestramento all'approccio validante il personale/familiari sono stati in grado di riconoscere i pensieri e sentimenti (anch'io sarei agitato se sapessi che mi stanno venendo a prendere). Tecniche Validanti per le prime fasi del deterioramento:
Si è visto che cercare di ragionare con la persona non migliora la situazione. L'ascolto e il provare a comprendere i bisogni dell'altro sembra essere invece una tecnica più efficace! Tecniche Validanti per la fase moderata del deterioramento:
Per esempio: "Una donna che cerca i suoi bambini e deve andare a casa a cucinare. Alcune persone che non conoscono la tecnica validante potrebbero rispondere:
Parleremo della casa quando qualcuno vuole andare a casa o dell’amore quando qualcuno ci dice che suo marito l’aspetta. Tecniche Validanti per il deterioramento grave :
- Entrare in rapporto con il tatto; - Cercare di stabilire un contatto visivo, anche se è difficile; - Usare un tono di voce naturale e rassicurante; - Collegare il comportamento al bisogno; - Utilizzare la musica. Bibliografia: "Le opportunità di applicazione del Metodo Validation® nelle diverse fasi del disorientamento” Siviero Cinzia, Maracchi Ilaria, Mosetti D’Henry Francesco, Tonetto Miriam Fondazione Castellini ONLUS Melegnano (MI), ASP ITIS Trieste Vivere con una demenza può avere un grande impatto emotivo, sociale, psicologico e pratico nella vita della persona che ne è affetta. Le prime fasi della malattia vengono descritte dalle persone con Alzheimer come una serie di perdite dove adattarsi risulta difficile. Ci sono molti altri fattori, oltre ai sintomi della demenza, che svolgono un ruolo nel plasmare la malattia come:
Ogni persona è unica, con la propria storia di vita, la sua personalità, simpatie e antipatie. 'E importante provare a concentrarsi su ciò che la persona ancora è e non su ciò che potrebbe aver perso e su ciò che la persona sente, piuttosto di ciò che ricorda. Le demenze possono portare alla perdita di:
Comunicare: le persone con demenza spesso sperimentano difficoltà di comunicazione ad esempio problemi nel trovare la parola giusta o nella comprensione di una conversazione. Ciò può causare un ritiro dalle situazioni sociali per paura di non essere adeguati al contesto. Alcuni consigli: parlare lentamente e usare parole semplici e portare attenzione al tono di voce. Cercate di mantenere il contatto visivo. Evitare movimenti bruschi e espressioni facciali di tensione in quanto questi possono causare disturbi o disagi. Assicurarsi che la persona sia inclusa nelle conversazioni cercando di non parlare a nome loro o completando le loro frasi. Ascoltare la persona. Rimuovere le distrazioni come il rumore di fondo nel corso delle conversazioni e cercare di comprendere il significato che stanno cercando di trasmettere. Evitare di fare troppe domande dirette. Indipendenza: una persona con demenza può gradualmente perdere la propria autonomia e fare sempre più affidamento sulla cura e il sostegno delle persone che le stanno attorno. Questo può essere un cambiamento difficile e molto doloroso da accettare. E 'importante sostenere la persona a fare da solo le cose che riesce a fare. Questo aumenta il benessere della persona e aiuta a accrescere la fiducia e la stima di sé. La persona può non volere aiuto perché non accetta che le cose siano diventate più difficili per lui. Questo può significare permettere alla persona con demenza, entro limiti ragionevoli, di fare delle cose a modo suo anche se non vengono bene come prima. Tuttavia, gli accompagnatori dovranno bilanciare eventuali problemi di sicurezza e il desiderio di sostenere la persona. Consigli: Fare le cose insieme: cercare di fare le cose con la persona piuttosto che per la persona. Offrire aiuto in modo solidale. Cercate di essere pazienti, non avere fretta, offrire rassicurazione, lodi e incoraggiamento. Cercare di adattare i compiti alle difficoltà e al livello cognitivo. Il processo decisionale: Una persona con demenza può perdere la capacità di prendere certe decisioni (ad esempio scelte finanziarie). Le persone affette da demenza dovrebbero essere sostenuti a prendere decisioni anche piccole che riguardano la loro persona il più a lungo possibile. Impatto psicologico ed emotivo della demenza: Una diagnosi di demenza può avere un enorme impatto sulla vita di una persona. Alcune emozioni che si provano sono: dolore, perdita, rabbia, paura, incredulità e anche sollievo. Possono avere paura del futuro, paura dei momenti di confusione e delle dimenticanze e arrabbiarsi con coloro che li circondano. Consigli: cercare di capire come la persona si sente. Non respingere le preoccupazioni che riporta ma ascoltarle e mostrare loro di esserci. Provare a vivere il presente e cercare di non spendere troppo tempo a pensare a ciò che sarà il futuro. Emozioni e sentimenti: Le persone con demenza spesso sperimentano cambiamenti nelle loro risposte emotive. Essi possono avere meno controllo sui loro sentimenti e il modo in cui li esprimono. Per esempio, qualcuno può essere più irritabile o soggetto a rapidi cambiamenti d' umore o reagire in maniera eccessiva alle cose. Una parte di queste modificazioni sono causate da danni al cervello. E' importante guardare al di là delle parole o dei comportamenti e cercare di comprendere i sentimenti che la persona potrebbe cercare di esprimere. Forti emozioni possono essere causati anche da bisogni insoddisfatti. La fiducia e la stima di sé: La demenza può indurre la persona a sentirsi insicura e perdere la fiducia in se stessa e nelle proprie capacità. Alcuni anziani possono percepire di non essere più in controllo e che non possono fidarsi del proprio giudizio. Inoltre, alcune persone subiscono gli effetti dello stigma sociale dovuto all'etichetta di "persona con demenza" che porta ad essere trattato in modo diverso dalle persone a causa della loro diagnosi. Consigli: festeggiare i successi e concentrarsi sugli aspetti positivi. Evitare dure critiche o commenti sprezzanti. Aiutare le persone a mantenere i rapporti sociali esistenti e crearne di nuovi. Identità: i pensieri e le emozioni che derivano dalla valutazione di noi stessi sono modellati da molte cose, tra cui le relazioni, i ruoli nella famiglia e nella comunità, gli hobby e la professione. Le modificazioni indotte dalla demenza possono determinare un cambiamento nel senso di identità. E 'importante che le persone intorno alla persona con demenza siano consapevoli di questo, in quanto sono in grado di influenzare come la persona si vede. Cambiamenti nel comportamento: le persone con demenza spesso si comportano in modo diverso man mano che la malattia progredisce. Per esempio, può diventare agitata, gridare, diventare sospettoso degli altri, fare più volte la stessa domanda. Questi comportamenti possono verificarsi anche quando la persona ha un bisogno che non viene colmato e ha difficoltà nel comunicarlo. Il comportamento ha sempre un senso per la persona. Potrebbe essere un dolore, sete o fame, una minaccia, un senso di frustrazione o la noia. E 'importante capire perché la persona si comporta in questo modo e cercare di individuare quali bisogni sono stati trascurati. Relazioni, ruoli e responsabilità: I nostri rapporti con le persone intorno a noi sono un elemento centrale della nostra identità. I rapporti spesso cambiano quando qualcuno ha una demenza. Le persone affette da demenza possono sentirsi isolate o evitate da coloro che le circondano. Possono perdere il contatto con amici e familiari, che potrebbero aver paura di non sapere come relazionarsi con loro. Gli operatori e i familiari possono contribuire sostenendo le relazioni esistenti e incoraggiando la continuazione e la partecipazione a gruppi e attività. Anche con il progredire della malattia molti elementi positivi delle relazioni (ad esempio l'affetto reciproco) rimangono. Oggi l'aspettativa di vita delle persone con sindrome di Down è in aumento grazie alle misure sanitarie preventive e ai progressi della biomedicina. Tuttavia, le persone con questa sindrome tendono ad essere interessate da un processo d' invecchiamento atipico e prematuro, rischiando lo sviluppo della malattia di Alzheimer precocemente. Diversi studi hanno dimostrato che la trisomia 21 è associata ad un accumulo eccessivo nel cervello di beta-amiloide, proteina precursore di una proteina associata alla malattia di Alzheimer. A partire dai 30 anni sembrerebbero essere presenti le caratteristiche neuropatologiche dell'Alzheimer. Tuttavia, la diagnosi di demenza nei soggetti con Sindrome di Down rimane ancora difficile a causa dei deficit cognitivi derivanti da disabilità intellettiva preesistente. Sebbene l'Alzheimer può essere trattata farmacologicamente e non farmacologicamente, una combinazione di interventi sembrerebbe aumentare l'efficacia del trattamento. Uno degli interventi non farmacologici attualmente disponibili è la riabilitazione cognitiva, che mira a ottimizzare il funzionamento globale cognitivo, migliorando il benessere dell'individuo, e sviluppando di strategie di coping. Dato il rapporto tra Malattia di Alzheimer e Sindrome di Down alcuni autori (Luciana Mascarenhas Fonseca, Anna Carolina Rufino Navatta, Cássio M.C. Bottino, Eliane Correa Miotto) hanno ricercato pubblicazioni scientifiche inerenti allo studio sull' efficacia di interventi di stimolazione cognitiva negli individui che hanno entrambe le patologie. I risultati sono stati pubblicati nell'articolo "Cognitive Rehabilitation of Dementia in Adults with Down Syndrome: A Review of Non-Pharmacological Interventions". Dalle loro ricerche è emerso che sono pochi gli studi attuali su tale argomento. Tra cui: Studio sulle tecniche comportamentali:
Temple et al. hanno effettuato un'analisi retrospettiva atta ad osservare gli effetti della stimolazione cognitiva nel corso di tutta la vita nelle persone con Sindrome di Down. A tal fine, gli autori hanno analizzato 35 adulti con età tra i 29 e i 67 anni si è visto che un allenamento cognitivo costante porterebbe ad un minor rischio di sviluppare Alzheimer. Gli studi qui esposti hanno utilizzato un piccolo campione e non possono essere utilizzati per comprendere se l'efficacia possa essere generalizzata anche nella vita quotidiana. La rassegna di studi recuperati da database di PubMed e PsycINFO hanno rivelato un allarmante mancanza di ricerche che confermino l'efficacia degli interventi di riabilitazione cognitiva nella Sindrome di Down con demenza di Alzheimer. Anche se molti studi hanno esaminato l'efficacia di interventi riabilitativi cognitivi per pazienti affetti da demenza in generale. A causa dell' elevata probabilità di Alzheimer in soggetti con Sindrome di Down e l'incertezza circa l'efficacia dei trattamenti farmacologici sarebbe importante poter osservare se interventi di riabilitazione cognitiva che si concentrano sulla prevenzione della demenza e sulle prime fasi della degenerazione possono essere efficaci anche in questi soggetti. E 'noto che vi sono una serie di fattori che aumentano la riserva cognitiva e in grado di compensare gli effetti del declino cognitivo nell' Alzheimer:
o a causa delle caratteristiche cliniche della malattia o per l'ambiente poco stimolante. Pertanto, uno degli obiettivi della stimolazione cognitiva nelle persone con disabilità intellettiva è quello di sostenere questi fattori protettivi stimolando tali individui a realizzare il loro potenziale e sostenendo la loro partecipazione alla forza lavoro, nonché incoraggiando l'esercizio fisico, la socializzazione, la soddisfazione personale e uno stile di vita attivo. Bibliografia: L. Mascarenhas Fonseca, A.C. Rufino Navatta, Cássio M.C. Bottino, E. Correa Miotto. "Cognitive Rehabilitation of Dementia in Adults with Down Syndrome: A Review of Non-Pharmacological Interventions". Dement Geriatr Cogn Disord Extra 2015; 5: 330-340 339 I disturbi del sonno sono comuni nelle persone con malattia di Alzheimer o altro tipo di demenze. Questi disturbi possono avere un impatto negativo invertendo il ritmo sonno-veglia nella persona con demenza e influenzando il benessere del caregiver. Una ricerca stima che le persone con demenza passano circa il 40% della notte svegli e gran parte del giorno si riposano. Questo avviene perché il meccanismo di sonno / veglia può non essere perfettamente funzionante. Ritmi circadiani La maggior parte delle specie del pianeta sono regolate da ritmi circadiani che dipendono da un orologio interno sincronizzato con l'ambiente esterno: con la luce solare, la temperatura ambientale e stimoli di natura sociale esempio l'orario del pranzo in famiglia. Nei mammiferi, questo orologio interno, si trova nel nucleo soprachiasmatico (SCN) nell'ipotalamo del cervello. L'orologio biologico nell'uomo ha un periodo naturale che si aggira intorno alle 24 ore. In genere si sta svegli durante le ore diurne e ci si addormenta nelle ore notturne. La luce sembra poter riequilibrare la melatonina e la serotonina e regolarizzare il ciclo di sonno – veglia, l’umore, l’appetito e la qualità del sonno. La melatonina è un ormone prodotto di notte e al buio e si ritiene che sia un messaggero della temperatura del corpo che permette di indicare alle cellule che è sera. Una riduzione di questo ormone può essere associato ad una ridotta efficienza del sonno e a un deterioramento dei ritmi circadiani interni. Luce e il sistema circadiano Studi sull'orologio biologico hanno mostrato una ridotta attività neuronale nel Sistema Nervoso Centrale degli anziani. Ciò suggerisce che, a livello molecolare, il cervello diventa meno sensibili agli stimoli dalla luce sulla retina. Con l'avanzare dell'età, infatti, la lente nell'occhio si infittisce e la pupilla si restringe, riducendo la quantità di luce che passa attraverso la retina. Disturbi a ritmi circadiani principali portano a dormire di meno e ciò potrebbe essere dovuto ad una difficoltà di elaborare correttamente le informazioni che permettono all'orologio interno di sincronizzarsi. Lo stile di vita sedentario, con meno possibilità di esporsi alla luce durante il giorno aumenta il rischio di una disfunzione. La terapia della luce La terapia della luce si basa sulla somministrazione di luce brillante in alcuni momenti della giornata prodotta da specifiche lampade in grado di sincronizzare di nuovo il ritmo circadiano. Ci possono essere degli effetti collaterali (inferiori rispetto alle terapie farmacologiche) per questo è possibile utilizzarla solo dopo consultazione con il proprio medico. I benefici sono stati riscontrai per i disturbi del sonno, depressione e disturbo bipolare. La terapia della luce nelle demenze Nella Malattia si Alzheimer a causa del deterioramento ci potrebbe essere bisogno di uno stimolo maggiore di luce per regolarizzare il ritmo circadiano. Studi pilota stanno testando gli effetti della terapia della luce nelle demenze ma ancora la sperimentazione è in atto e non ci sono dati ufficiali sull'efficacia. Figueiro ha proposto, sulla base di conoscenze teoriche sull'impatto della luce nell'invecchiamento, uno schema di illuminazione che è stato progettato per fornire una stimolazione di 24 ore:
l gruppo di ricerca osserva che l'aumento dei livelli di illuminazione diurna possono fornire un segnale più forte al sistema circadiano. Tuttavia, oggi il colore e l'intensità dell' illuminazione, presente nelle residenze per anziani e in commercio sono progettati per permettere una migliore visione a basso consumo e non per stimolare il sistema circadiano. Consigli:
Nicholas Hanforda,Mariana Figueirob. Light Therapy and Alzheimer’s Disease and Related Dementia: Past, Present, and Future. Alzheimers Dis. 2013 January 1; 33(4): 913–922. doi:10.3233/JAD-2012-121645 Nelle demenze, la capacità di comunicare attraverso le parole, tende a frammentarsi mentre la capacità di comprendere e comunicare attraverso gli aspetti non verbali sembra rimanere intatta fino alle fasi finali della malattia. Per questo motivo è importante sfruttare questi aspetti nella quotidianità con il proprio caro. Le persone affette da demenza, con problemi di linguaggio, percepiscono non tanto ciò che viene detto ma come viene espresso per esempio dal tono della voce, i gesti e l'espressione del viso. Allo stesso tempo, il linguaggio non verbale viene a volte utilizzato dal malato per comunicare ed esprimere disagi e bisogni. Molte volte gli atteggiamenti oppositivi e di aggressività non sono altro che un modo per comunicare che c'è qualcosa che non va per esempio un dolore, un bisogno, troppo rumore, troppa luce ecc. La distanza, la gestione dello spazio, contatto fisico. Nelle demenze bisogna fare molta attenzione alla distanza fisica sopratutto quando sono in atto episodi di aggressività. (In questi casi si consiglia di evitare movimenti bruschi con il corpo e assumere un atteggiamento calmo). Nelle fasi avanzate, la vicinanza e il contatto corporeo donano calore e affetto. Bisogna però ricordare che il contatto corporeo è una modo di comunicare che è influenzato da vari fattori socio culturali e familiari e per questo la quantità di contatto fisico desiderato varia da individuo ad individuo. Gli operatori devono stare attenti a non rendere la troppa vicinanza, invadenza, sopratutto quando ancora non si è creata una relazione con la persona. La gestualità Chi interagisce con la persona affetta da demenza deve porre attenzione ai movimenti e alla propria gestualità corporea per evitare che il messaggio inviato venga percepito come una minaccia. Contemporaneamente è utile osservare ciò che il corpo dell'altro comunica per esempio: se quando ci avviciniamo la persona indietreggia forse si sente spaventato e insicuro. Inoltre i gesti delle mani dovrebbero essere congruenti con il messaggio verbale inviato e rinforzarlo. Il tono di voce. Il tono di voce permette alla persona con demenza di comprendere il tipo di messaggio che le stiamo inviando, per esempio può comprendere se siamo arrabbiati, nervosi o dolci. Una voce calda, calma e un volto sorridente dona sicurezza e piacevolezza Quando si parla con un anziano fragile, affetto da demenza è importante seguire alcuni accorgimenti come per esempio porsi sempre davanti alla persona, alla sua altezza e guardarlo negli occhi mentre si parla. A causa dei possibili problemi di udito è sconsigliabile comunicare da lontano o da dietro. La confusione può essere fonte di disagio esempio: quando ci sono più persone che parlano insieme ed in sottofondo una tv la persona affetta da demenza potrebbe non riuscire a comprendere ciò che viene detto venendo bombardata da più informazioni. E' inoltre importante parlare lentamente in modo da dare il tempo alla persona di elaborare le informazioni. Qui vi presentiamo alcuni accorgimenti che possono essere utili per mantenere viva la parola:
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