Perchè è importante partecipare ai gruppi di sostegno psicologico per i familiari di demenza.27/2/2018 Abbiamo spesso parlato dello stress relativo all'assistenza del proprio caro affetto da demenza e di come questa malattia, silenziosamente, invade la propria vita fino a modificarla drasticamente. Si modificano i ruoli e si provano così tante emozioni negative che alla fine si rischia di ammalarsi. Nella mia esperienza nella gestione di gruppi di sostegno per familiari, posso dire che sono queste le sensazioni e le emozioni che vengono riferite più spesso: Rabbia verso lo stesso malato : perché non è più la moglie/ marito/ madre/ padre che pensa a tutto e che è sempre presente nel momento del bisogno. Rabbia verso il marito/moglie : perché si è ammalato e ha infranto la promessa di invecchiare insieme nel modo che si era immaginato di fare. Rabbia verso tutti i progetti che ora svaniscono. Rabbia ogni volta che il malato fa qualcosa di sbagliato e combina un " danno". Rabbia verso se stessi, perché ci si arrabbia della propria rabbia. Rabbia verso la malattia : " perché proprio a noi?" Tristezza - perché ogni giorno, se si pensa al futuro, non si ha certezza di niente. E si immagina cosa succederà : " Che fine farà mio padre/madre/moglie/marito se io mi ammalo?". Tristezza nel vedere il proprio caro che non è più quello di prima. Tristezza per la vecchiaia. Senso di colpa e Vergogna ogni volta che ci si arrabbia, si urla e si agiscono le proprie emozioni . Senso di colpa ogni volta che si fa qualcosa per sé , senza di lui/lei. Senso di isolamento, solitudine e mancanza di comprensione. Ansia ogni volta che ci si allontana da casa o si lascia il proprio caro con qualcun'altro. Ansia e allerta per ogni segnale del malato o un suo bisogno. Ansia : perché lo stress è talmente tanto che a volte ci si accorge di dimenticarci anche noi delle cose. Sensazione che nessun 'altro possa prendersi cura come lo facciamo noi. Stanchezza, per il grosso impegno dell'assistenza. Forza: per tutte le risorse che sono emerse per far fronte all'assistenza. Gioia: quando il nostro caro sorride e sembra felice. Partecipare ad un gruppo di familiari è proprio questo. Poter riferire a persone che vivono la stessa situazione, cose che non si possono dire a nessun'altro. Scoprire di non essere gli unici. Normalizzare le proprie reazioni e emozioni. Sentirsi compresi. Sentirsi meno confusi e con più strumenti per affrontare la malattia: per esempio , ogni volta che appare un sintomo nuovo, si può pensare a quella volta che anche X si era trovato nella stessa situazione e l'aveva risolta così. Sentire di non essere soli: per esempio, ogni volta che si è tristi, arrabbiati, stanchi... si può pensare al gruppo e a quante persone stanno lottando con le stesse emozioni . Prendersi uno spazio per sè e per il proprio benessere. Ridere insieme dei momenti ironici raccontati e creare delle amicizie.
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Molte delle sensazioni provate da chi assiste un proprio caro con demenza sono spesso simili a quelle provate in occasione di un lutto. La persona infatti, a causa dei problemi cognitivi e comportamentali, sembra non essere più lei . Il processo di elaborazione della perdita, ancor prima che essa sia realmente avvenuta, è tipico delle patologie degenerative che portano al lento spegnersi della persona, giorno dopo giorno, e contemporaneamente ad un'elaborazione da parte dei familiari che si ritrovano a dover prendere coscienza del cambiamento che sta avvenendo. Quando avviene un lutto si attiva normalmente una reazione fisiologica complessa che alcuni autori hanno descritto attraverso 4 fasi e che possono essere sovrapposte alle fasi del percorso psicologico che attraversa il caregiver nella malattia di Alzheimer e più in generale nelle demenze.
«... Ci si affanna a trovare quello che non è più possibile trovare, e si ignora quanto, invece, trovare si può» Se si vive nel passato, nel ricordo di come la persona era e di come si vorrebbe che sia ora e si cerca unicamente quella parte non troveremo niente.. mentre facciamo ciò ignoriamo quello che invece si può trovare.. la persona che è qui in questo momento. Accettare e convivere con un proprio caro con una diagnosi di Alzheimer può essere fortemente traumatico per una persona adulta e ancor più, può esserlo per un bambino. Alcuni legami tra nonni e nipoti sono molto forti e caratterizzati da una stretta vicinanza emotiva e per questo è importante in primis informare il bambino della malattia del nonno/a. La prima reazione potrebbe essere di paura e i più piccoli potrebbero pensare che anche mamma e papà potrebbero un giorno ammalarsi, per questo è fondamentale rassicurare e spiegare al proprio figlio, che la malattia del nonno/a non è contagiosa e che colpisce solo alcune persone anziane. E' utile far comprendere al bambino che l'Alzheimer causa problemi di memoria che portano il nonno o la nonna ad essere ripetitivi e a confondere i nomi e non sapere, a volte, quello che stanno facendo. Senza adeguate informazioni i nipoti potrebbero sentirsi offesi o rifiutati dalle reazioni strane del nonno/a. E' anche importante spiegargli che non esistono colpe per questa malattia. I minori, a seconda dell’età, interpretano e riconoscono il problema, soprattutto se i nonni malati vivono in casa o ci trascorrono molto tempo insieme e potrebbero attribuirsi delle colpe o effettuare delle errate valutazioni. E’ necessario far comprendere loro come affrontare la diversità causata dalla malattia, i comportamenti aggressivi e i vuoti di memoria che ne scaturiscono, per evitare che si trovino spiazzati. E' inoltre fondamentale preparare il bambino alle modifiche che avverranno nel corso del tempo. Nelle prime fasi della malattia, i nipoti sono molto importanti per i nonni, perché li aiutano a rendere le giornate meno pesanti, li fanno sentire utili e si divertono insieme. Nelle fasi più avanzate, i disturbi comportamentali e i problemi cognitivi, possono ridurre l'interesse che l'anziano aveva nei confronti dei propri nipoti e portare a reazioni mai verificatesi prima. Ogni genitore dovrebbe trasmettere al proprio figlio il concetto che il loro nonno/a, è ancora la stessa persona di prima, il suo cuore e il suo amore per loro rimangono invariati, anche se hanno perso delle abilità e non possono giocare con loro come prima. L'assistenza alla persona cara potrebbe, inoltre, portare a trascurare i bisogni dei propri figli o sottovalutare dei problemi. Bisogna essere consapevoli quando ciò sta avvenendo e quando la situazione ci sta sfuggendo di mano, per poter trovare delle adeguate soluzioni come ricorrere ad un aiuto esterno per almeno alcune ore al giorno da poter dedicare ai propri figli. Vediamo alcune delle emozioni provate dei bambini e degli adolescenti :
Secondo una ricerca della Yale University, quasi un terzo delle persone che assistono i propri cari malati soffre di depressione e circa uno su quattro soddisfa i criteri diagnostici per l'ansia. Cosa bisogna fare per conciliare l'assistenza, spesso logorante e continua con il proprio benessere psicologico? 1. Riconoscere le proprie emozioni anche negative e chiamare le cose con il proprio nome Se non l'hai già fatto prova a farlo ora, prova a dire ad alta voce cosa pensi veramente. Sopprimere le emozioni e fingere fa più male che bene. 2. Educare se stessi. Informarsi sulle fasi della malattia e leggere dei libri sull'argomento. Non c'è modo di eliminare tutte le sorprese che potrebbe riservare il decorso patologico, ma se si conosce la malattia allora ci si può meglio preparare per quello che potrebbe accadere tra un mese o nei prossimi anni. Si potrebbe anche prendere in considerazione di frequentare un corso di formazione per caregiver. 3. Afferrare la propria maschera di ossigeno. Prima di decollare per un viaggio in aereo viene spiegato cosa fare in caso di emergenza. "In caso di emergenza, una maschera d'ossigeno scenderà dal vano porta oggetti sopra di voi. Si prega di allacciare la propria maschera prima di aiutare gli altri. " Prendersi cura dei propri bisogni è importante come afferrare la maschera di ossigeno, se non lo si fa ci si può ritrovare in breve tempo in uno stato di mancanza di ossigeno, senza la possibilità di aiutare i propri familiari seduti vicino. 4. Pianificare una pausa. Concedetevi una pausa ogni giorno. Anche mezz'ora al giorno. Senza rispondere alle richieste esterne in cui si pensa solo a se stessi. 5. Defondersi dalle emozioni negative e che non aiutano nell'assistenza. Per esempio: cercate di chiedervi: il senso di colpa che provate è utile o inutile? Serve a qualcosa o solamente a criticarvi e a rendere l'assistenza ancora più difficile? 6. Organizzate le giornate. Organizzate le giornate in modo strutturato, mantenete sempre gli stessi orari del pranzo e della cena. 7. Uscire di casa. Essere prigionieri all'interno della propria casa è come essere rinchiusi in una cella buia e spaventosa. Il tempo trascorso fuori casa con altre persone è fondamentale per la propria salute mentale. Prendere del tempo per godere di un passatempo, non è un atto egoistico. Ciò vi aiuterà a essere un caregiver migliore, più paziente e di buon umore. Spesso il carico emotivo e fisico dell' assistenza porta a trascurare se stessi e la propria salute. Nella cura di una persona con demenza è fondamentale ritagliarsi del tempo per se stessi per i propri bisogni e per ricaricarsi, solo se chi si prende cura sta bene riuscirà a prendersi cura ancora meglio. Vediamo insieme alcuni consigli
I 10 segnali per riconoscere lo stress nel familiare che assiste il proprio caro con demenza16/8/2016 Prendersi cura di un proprio caro affetto da demenza non è facile e può lasciare emotivamente, mentalmente e fisicamente esausti. In alcune giornate ci si sente di potercela fare, di dover tirare la cinghia, altri giorni,invece, si inizia a pensare di non farcela. Il malato può cambiare velocemente, alcuni momenti stare meglio, in altri invece la gestione diventa difficile, richiedendo una presenza e attenzione continua. Molti caregiver, impegnati quotidianamente nella cura del proprio caro, riportano di sentirsi spesso senza energie, impotenti, senza speranza, preoccupati per il futuro, arrabbiati e risentiti. Quali sono i familiari che hanno maggiori probabilità di andare incontro ad una situazione di stress? Quelli che si prendono cura di una persona che ha bisogno di aiuto per svolgere la maggior parte delle attività quotidiane e lo fanno senza un aiuto esterno. In questo contesto spesso troviamo un unico familiare farsi carico dell'assistenza che ha modificato il proprio stile di vita per adattarsi al ruolo di caregiver. Il tempo per sè si riduce e la routine quotidiana ruota intorno a doveri (fare la spesa, il bucato, cucinare, pulire, ecc.) e nella cura della persona. E' in queste circostanze che può svilupparsi in modo più frequente uno stato di profondo logoramento/stress dovuto all'assistenza. Le conseguenze dello stress legato all'assistenza
Lo stress può danneggiare la salute e riconoscerne i segnali è il primo passo per modificare qualcosa nell'assistenza e ritrovare l'equilibrio perduto nella propria vita. I 10 segnali che ci permettono di individuare la presenza di uno stress psicologico 1. La negazione della malattia. A volte ci si protegge dal dolore cercando di non vedere e di sminuire la gravità della demenza del proprio caro, assumendosi un eccessivo carico di impegno nell'assistenza senza chiedere un aiuto all'esterno. Se si sta attraversando un periodo di stress e di negazione della malattia potrebbero verificarsi episodi di questo tipo: per esempio, chiedere al malato cose che non riesce più a fare e arrabbiarsi se non riesce. Pretendere dal proprio caro che faccia le cose come prima, cercando di spiegargli e di farlo ragionare quando sbaglia. 2. La rabbia verso il proprio caro con demenza: "Se mi chiede che ora è ancora una volta mi metto a urlare!" La rabbia perchè si rivorebbe la persona com'era prima. La rabbia verso il destino: " Perchè è successo proprio alla nostra famiglia e in questo momento della vita in cui mi aspettavo di vivere un periodo sereno?" La rabbia perchè le persone vicino non capiscono cosa sta succedendo. La rabbia verso se stessi. 3. Ritiro sociale da amici e dalle attività che una volta portavano piacere con una sensazione di stare perdendo la vita. 4. L'ansia per il futuro. "Cosa succederà quando avrà bisogno di più attenzione di quanto io possa offrirne?Cosa succederà se io mi ammalo?" 5. La depressione. Un eccessiva tristezza può presentarsi con una sensazione di stanchezza, di mancanza di energie, di perdita di interessi. Alcuni caregiver si sentono così stanchi e svuotati che spesso passano molto tempo a letto, sentono di non riuscire più ad assistere il proprio caro come prima. “Sono troppo stanco per questo." 6. Modificazione dell’alimentazione e del sonno. Alcuni caregiver mangiano di meno e perdono interesse per il cibo. Inoltre, possono essere presenti disturbi del sonno dovuti a pensieri che impediscono di addormentarsi. Il sonno può essere disturbato anche dal proprio caro che si sveglia e richiede la presenza di qualcuno anche d notte. 7. Ansia generalizzata. L’ansia può presentarsi sotto forma di nodo alla gola, disturbi gastrointestinali e altri sintomi somatici. Molte volte, dietro a questo sintomo, si nasconde il bisogno di tenere tutto sotto controllo e per fare questo si pensa a tutte le cose che potrebbero accadere "E se mentre sono a fare la spesa cade e si fa male?" 8. Irritabilità che porta a sbalzi d'umore e a dare risposte d’istinto e aggressive. 9. Mancanza di concentrazione che rende difficile eseguire le attività lavorative, familiari e di svago "Ero così occupato, che ho dimenticato un appuntamento." 10. Problemi di salute "Non riesco a ricordare l'ultima volta che mi sono sentito bene." Se pensate di star vivendo un periodo di forte stress non esitate a parlarne con il vostro medico di base. La demenza è una malattia che coinvolge l’intero nucleo familiare e che causa stress emotivo e fisico a chi se ne prende cura. Molto spesso, il tempo libero del caregiver, si riduce drasticamente, il lavoro ne risente e anche le relazioni familiari e sociali. A volte manca il tempo per recuperare le energie e ogni giorno diventa scandito da una ripetitiva continuità . L’assistenza di una persona con demenza può portare anche a difficoltà economiche dovute alle numerose spese di assistenza come farmaci, visite private, ricoveri, esami ,centri diurni e residenze. Dal punto di vista psicologico, nelle prime fasi della malattia, la prima reazione del familiare è spesso quella della "negazione", vale a dire il rifiuto di ritenere vero ciò che sta accadendo al proprio caro e, di conseguenza, alla propria vita. Questa reazione è del tutto normale, è come se la mente prendesse le distanze per proteggersi da ciò che sta accadendo e del dolore che comporta. Molto spesso manca l’informazione, dopo la diagnosi i familiari non sanno cosa accadrà e si ritrovano ad affrontare problemi che non erano pronti ad affrontare di cui nessuno gli aveva mai parlato. Sono tante le domande che un familiare si pone: qual è la causa di questa malattia, perché proprio alla nostra famiglia? E si ricercano delle colpe. Poi, quando si raggiunge il necessario equilibrio, e ci si è adattati alla nuova situazione, accade che il paziente cambia nuovamente e bisogna ricominciare tutto da capo. Con l’avanzare della patologia i familiari vivono come un lutto anticipato, hanno la sensazione di aver perso un compagno di vita, un genitore, un amico, quando ancora la persona è li, ma non è più in grado di assolvere il ruolo che prima gli veniva assegnato e spesso ci si ritrova a combattere con la malattia, cercando di riportare la persona ad essere come prima, correggendolo o cercando di fargli riapprendere le cose che ha perso, non accentando la persona per come è ora. Un'altra tendenza comune che spesso sopraggiunge è quella di sostituirsi al malato evitando così di mettere la persona in difficoltà. Molto spesso, questo atteggiamento nasconde un duplice vantaggio, non mettendo la persona in difficoltà si evita anche di provare il dolore di vedere il proprio caro confuso e non più autosufficiente. Molti familiari riportano nel corso di tutta la malattia un sentimento d’impotenza, seguito spesso da un atteggiamento di “ autosacrificio” per cui tutta la propria vita gira intorno all'assistenza. Quanta pazienza ci vuole quando ci si occupa di questa malattia? E quante volte capita di alzare la voce e poi sentirsi in colpa? E quante volte si prova rabbia? Le emozioni nei familiari si susseguono tra frustrazione, disagio, rabbia e colpa. Colpa perché si pensa di non fare mai abbastanza, per la decisione di inserirlo in un centro e sentirsi egoisti per questo, colpa per perdere la pazienza, rabbia verso se stessi, verso il malato e verso la malattia. Ma cos’è, se non l’amore per il proprio caro, a generare tutte queste emozioni? Non serve rifiutare o reprimere emozioni o sentimenti negativi, ma bisogna imparare a gestirli, parlarne e verbalizzarli con chi vive la stessa situazione o con chi si ha vicino. Bisogna accettare ad elaborare quello che sta succedendo, non si può essere perfetti, bisogna imparare a riconoscere i propri limiti e le proprie difficoltà, non ci si può comportare sempre come da manuale. E’ importante poter imparare a ricavarsi del tempo per sé, riconoscere i propri bisogni e chiedere aiuto se l’assistenza diventa troppo gravosa. Spesso i familiari concentrano ogni attenzione verso il malato perdendo di vista ogni altra cosa e ciò aumenta lo stress. E come si fa ad assistere una persona quando si arriva ad essere stanchi e logorati? A volte accettare un aiuto per avere del tempo per sé permette poi di stare anche meglio con la persona cara. Dall’indagine del Censis (2007) sull’impatto dell’assistenza sui caregiver è emerso che:
La depressione nell'anziano è stata spesso sottovalutata, non diagnosticata e di conseguenza non curata. La difficoltà nell'individuazione di questo disturbo può essere dovuta al fatto che, spesso, alcuni sintomi come insonnia, problemi di concentrazione, insoddisfazione, riduzione dell'appetito sono spesso associati ad una normale vecchiaia. La persona anziana d'altro canto, difficilmente si lamenta per il suo umore ma per sintomi medici. Questo avviene perchè uno dei pregiudizi comuni da cui spesso si viene influenzati è che è normale per un anziano essere triste. I possibili fattori di rischio: Biologici: lieve decadimento cognitivo, problemi di salute, predisposizione alla depressione Psicologici: scarsa autostima, perdita delle capacità relazionali Sociali: solitudine, povertà, riduzione delle relazioni, perdita dell'autonomia, pensionamento Eventi di vita stressanti es. lutti. Alcune caratteristiche: Umore: Triste, preoccupato, irritabile. Perdita di interesse per gran parte delle cose che prima interessavano, difficoltà di concentrazione, scarsa autostima, contenuto di pensiero negativo, indecisione, senso di colpa. Comportamento: Rallentamento o agitazione psicomotoria, facilità al pianto, ritiro sociale, dipendenza. Aspetti somatici:Disturbi del sonno (insonnia o ipersonnia), riduzione o aumento dell’appetito, calo o incremento del peso, turbe gastrointestinali. Molti anziani non chiedono aiuto ad uno psicologo o a uno psichiatra. Questo avviene per paura di essere valutati come mentalmente compromessi, perchè temono l'istituzionalizzazione o/e perchè pensano che ormai arrivati ad una certa età sia normale sentirsi così e non vale la pena spendere dei soldi o spostarsi da casa per stare meglio. Molti credono che ogni nuova attività sia troppo difficile e si reputa troppo vecchio per cambiare. E' importante inoltre effettuare una buona diagnosi differenziale tra pseudodemenza e demenza. Spesso un lieve decadimento cognitivo può essere causato da un disturbo di natura depressiva e,in questo caso, si utilizza il termine “pseudodemenza”oppure può indicare l'esordio di una forma di demenza. Bibliografia: Curare la depressione negli anziani. Lucio Bizzini, Vera Bizzini e Christine Favre. Franco Angeli 2009 |
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