Spesso abbiamo parlato di metacognizione , intesa come la capacità di compiere operazioni cognitive sugli stati mentali propri e altrui, e di utilizzare queste conoscenze per la soluzione di compiti o per il padroneggiamento di stati mentali fonte di sofferenza soggettiva (Wells e Purdon 1999). La metacognizione svolge due attività, ci permette di: - Conoscere il proprio funzionamento e quello degli altri - Regolare gli stati mentali attraverso la pianificazione, il monitoraggio e i processi di controllo Secondo Carcione e Falcone, la metacognizione non è un'unica funzione, ma è costituita da diverse sotto-componenti che possono essere distinte in: - contenuti metacognitivi: idee e credenze con le quali vengono interpretati i contenuti e i processi mentali . Per esempio: “ se ho l‟ansia significa che sono una persona debole”. - funzioni metacognitive: sono abilità che permettono di conoscere tali processi mentali e di operare su di essi per risolvere compiti e per padroneggiare stati problematici fonte di sofferenza (Monitoraggio, Decentramento, Differenziazione, Integrazione ) Spesso i problemi relazionali possono essere dovuti a una scarsa abilità nel funzionamento metacognitivo che può presentarsi per esempio come: una difficoltà nel dare un nome all'emozione che si prova, distinguerla darle altre, comprendere cosa ha portato a provare quell'emozione, dare una spiegazione ai propri comportamenti, differenziare i propri pensieri e vederli in modo flessibile e non come una realtà di fatto, comprendere come ogni persona ha diversi contenuti di pensiero e che pensa in modo diverso e valuta le cose in modo diverso, non è possibile attribuire all'altro i propri pensieri ma per mettersi al posto dell'altro è necessario indossare gli occhiali con cui l'altro legge il mondo. Tra le funzoni metacognitive alcuni autori inseriscono la Mastery o Padroneggiamento: si riferisce alla capacità di assumere un atteggiamento attivo verso la soluzione dei problemi. Una buona mastery consente di fronteggiare situazioni complesse e regolare gli stati problematici interni. Esistono tre tipi di strategie: - Strategie di 1 livello: sono le più semplici e più comportamentali e richiedono un basso impegno riflessivo da parte dell‟individuo (basso uso delle funzioni metacognitive). Fanno parte di questo gruppo quelle azioni che vengono compiute direttamente sull‟organismo es. utilizzo dei i farmaci, evitamento delle situazioni, il richiedere un supporto agli altri per regolare le emozioni e gli stati mentali problematici. - Strategie di 2 livello: richiedono un maggiore impegno riflessivo e sono per esempio l'imporsi o l'inibire volontariamente un comportamento , il modificare attivamente la propria attenzione e concentrazione, il pensare o il non pensare volontariamente a un problema. - Strategie di 3 livello: le strategie di terzo livello richiedono un elevato impegno riflessivo e sono per esempio: la critica razionale a una credenza relativa allo stato problematico (comprendere che quel pensiero fa parte del proprio problema e che quindi non va seguito), l'uso delle conoscenze sugli stati mentali altrui per migliorare le relazioni interpersonali, l'accettazione dei propri limiti personali. In questo livello c‟è un‟azione diretta dell‟individuo sul suo stato mentale. Possedere una buona Mastery non significa utilizzare unicamente strategie di 3 livello, ma essere flessibili per riuscire, in base al contesto, a ricorrere alle varie abilità. La terapia metacognitiva-interpersonale mira a migliorare il funzionamento metacognitivo, al fine di favorire sia il riconoscimento ed il padroneggiamento degli stati mentali problematici, sia il miglioramento delle relazioni interpersonali.
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Secondo le teorie cognitive, ogni comportamento che mettiamo in atto è guidato da desideri e scopi, che si appoggiano sulle nostre credenze /rappresentazioni su com'è e deve andare il mondo, gli altri e noi stessi. Se per esempio mi sono creato nel tempo una rappresentazione/credenza di X come di una persona non affidabile, non le assegnerò compiti importanti . Carcione, Semerari e Coll nel 2016 affermano: “ Noi possiamo riferire i nostri pensieri, possiamo sapere quali emozioni ci provocano, possiamo dire se una certa immagine mentale corrisponde o meno ad un evento vissuto, riflettiamo sulle nostre credenze e allo stesso modo, attribuiamo agli altri pensieri, emozioni, fantasie, processi di ragionamento, atteggiamenti emotivi attraverso l’osservazione di ciò che dicono e fanno e delle loro espressioni emotive. Creiamo rappresentazioni su rappresentazioni che vengono chiamate metarappresentazioni.” Oggi la metacognizione viene definita come la capacità di compiere operazioni cognitive sugli stati mentali propri e altrui, e di utilizzare queste conoscenze per la soluzione di compiti o per il padroneggiamento di stati mentali fonte di sofferenza soggettiva (Wells e Purdon 1999). Gran parte degli studi italiani sulla metacognizione sono stati intrapresi negli ultimi anni dai ricercatori del III Centro di Psicoterapia Cognitiva di Roma che ipotizzarono che, alcune persone con tratti di personalità rigidi e /o con disturbi della personalità potessero presentare significativi deficit nelle funzioni metacognitive . Le funzioni metacognitive: Identificazione o Monitoraggio : permette di riconoscere le emozioni che si provano e discriminarle le une dalle altre. Comprendere che cosa le ha attivate, cogliendo i nessi con il contesto in cui ci si trova. Alcune persone non riescono a discriminare per esempio tra ansia e tristezza, oppure si sentono confuse non riuscendo a fare chiarezza dentro di loro rispetto a ciò che provano. In altri casi possono aver chiara l'emozione ma non riescono a collegarla al perchè la provano. Esempio di una buona capacità di monitoraggio: ieri ero al supermercato e una persona mi ha superato alla cassa, ho sentito la rabbia salirmi e il mio corpo attivarsi e ho pensato che questa persona mi stesse mancando di rispetto e che è un maleducato. A quel punto , per cercare di far valere i miei diritti gli ho detto: " mi scusi c'ero io prima di lei". La persona mi chiede scusa e si mette dietro di me, dicendo che non mi aveva visto. Nel corpo sento la tensione scendere e al posto della rabbia una sensazione di soddisfazione. Decentramento: questa funzione fa si che la persona possa cogliere la prospettiva da cui l’altro osserva se stesso e il mondo, a prescindere dal proprio punto di vista o da stereotipi, riuscendo a ragionare sugli stati mentali dell’altro prendendo in considerazione i suoi desideri e scopi che possono essere diversi dai propri. Il contrario del decentramento è l’egocentrismo. Nell’egocentrismo vengono attribuiti all’altro pensieri, credenze, emozioni in base al proprio punto di vista. Per esempio: se ho imparato a leggere il mondo pensando che nessuna persona è degna di fiducia e tutti cercano di fregare l'altro, penserò che la persona che mi ha superato in fila al supermercato lo abbia fatto consapevolmente e che sapeva che prima c'ero io, ma ci ha provato per fregarmi ma gli è andata male perchè ha trovato me che non sto zitta. In questo modo, la protagonista dell'esempio ha attribuito all'altro pensieri, credenze e emozioni in base al proprio punto di vista. Metterci nei panni dell'altro significa vedere il mondo dal punto di vista dell'altro. Come leggerebbe lo stesso evento una nostra amica che invece vede il mondo come buono e senza cattive intenzioni? Avrebbe sentito la stessa rabbia? Che emozione avrebbe provato? e cosa avrebbe pensato? Ogni persona è diversa da noi e in una stessa situazione può comportarsi in modo diverso, provando emozioni e pensieri diversi dai nostri. Riuscire a decentrarci significa leggere il mondo con gli occhi dell'altro , conoscendo gli scopi e i desideri dell'altro. Differenziazione: questa funzione permette di riconoscere che i propri stati mentali sono rappresentazioni della realtà e non coincidenti con essa ma ipotetici. Quando esprimiamo un giudizio o una valutazione dobbiamo sapere che potrebbe non essere valida e non coincidente con quella dell'altro o con la realtà dei fatti. Riprendendo l'esempio del supermercato, la persona che ha superato la cassa è stata valutata da due persone diverse, in modo diverso. Una lo ha visto come un maleducato che vuole fregare le persone, l'altra come una persona sbadata magari che sta vivendo un brutto periodo che non si è accorto di averci superato. Entrambe sono ipotesi. Nessuna delle due è una realtà o una verità. Sono due letture diverse del mondo. Non sappiamo e non conosciamo le motivazioni del comportamento dell'altro. Integrazione: questa funzione è correlata al concetto di pensiero narrativo e di Sé autobiografico. La capacità di possedere una buona e coerente narrazione permette di integrare insieme tutti gli elementi cognitivi, somatici ed emotivi, di descrivere scenari mentali e interpersonali e di costruire un dialogo interiorizzato che dia un senso di continuità all’ Io. Un deficit di questa componente porta a rappresentazioni di Sè e dell’altro molteplici e contraddittorie e a confusione. Il percorso che propongo in terapia può aiutare la persona a migliorare la propria capacità di raccontarsi, in modo dettagliato, cercando di far chiarezza sulle emozioni e i pensieri problematici e sulle cause di questi. Considerare la propria lettura del mondo come ipotetica , comprendendo che una parte della sofferenza provata, è causata proprio da questa visione rigida. Aiutando la persona a trovare alternative di valutazione del mondo più coerenti con la realtà e flessibili. Successivamente si cercherà di integrare le varie rappresentazioni di Sé nella relazione con gli altri. L'amore ha tanti volti e modi diversi di esprimersi, alcuni riflettono la presenza di un legame sicuro con il proprio partner e una risoluzione di possibili problematiche relazionali precedenti, altri di un amore contorto e doloroso. Vediamone insieme alcune situazioni che possono portare a sofferenza .
Un percorso psicologico può essere d'aiuto per far si che la persona a diventi consapevole degli schemi che ripropone all'interno delle relazione, il perchè li ripropone e essere aiutati nell'interrompere il copione che continuamente viene messo in atto. Il confine è un limite e ogni giorno utilizziamo questo limite per effettuare delle scelte, per esempio per dire si e per dire no. Il modo in cui utilizziamo i nostri confini rispecchia ciò che abbiamo appreso nel passato per adattarci alle situazioni in cui siamo cresciuti e per far fronte alla relazioni difficili nel corso dell'infanzia. Questa modalità comportamentale appresa, oggi si ripresenta in modo automatico . Se nel corso dello sviluppo non si ha avuto la possibilità di sperimentare dei sani confini relazionali si tenderà o a diventare troppo passivi o aggressivi, senza riuscire a definire i limiti tra sè e l'altro. Il nostro corpo ci pone dei segnali di confine, per esempio: - se ci irrigidiamo, tendiamo a fare dei passi all'indietro e abbiamo l'impulso ad allontanarci, . significa che la persona che abbiamo davanti si sta avvicinando troppo e abbiamo bisogno di mettere un confine. E questo è vero anche al contrario. -se vediamo una persona che cerca di allontanarsi e più ci avviciniamo più mostra segnali di disagio significa che le stiamo parlando ad una distanza troppo ravvicinata. Stile sottoconfinato Questo stile solitamente si forma in ambienti famigliari dove le persone tendono a fondersi tra loro, dove non viene rinforzata l'autonomia, anzi, l'individualità viene considerata come una cosa negativa. Le persone con questi confini non sanno dire NO e hanno difficoltà a differenziare i propri bisogni, emozioni e opinioni da quelle degli altri, perchè non l'hanno mai fatto e tendono quindi a riproporre lo stile relazionale appreso dai genitori anche nel mondo esterno. Esempio di stile sottoconfinato: -potresti aiutare gli altri anche quando non vuoi -accettare di vedere film che non ti piacciono - temere che se dirai no, gli altri ti rifiuteranno - difficoltà a distinguere te stesso dall'altro - rivolgerti agli altri per chiedere informazioni e consigli e accettare come vero quello che pensa l'altro -dare troppo -tendenza ad avvicinarsi troppo fisicamente ed emotivamente agli altri Le persone con questo stile avrebbero bisogno di imparare ad essere maggiormente connesse con se stesse e a fare esperienza del NO. Stile Iperconfinato Quando parliamo di stile iperconfinato ci riferiamo a confini rigidi , in cui c'è facilità a dire NO, perchè il si è visto come cedere all'altro. Solitamente, questa modalità comportamentale viene appresa in ambienti dove il contatto fisico e emotivo veniva evitato e dove il bambino è divenuto velocemente autosufficiente e in guardia. Alcuni esempi: - tendenza a mettere un muro per non far entrare l'altro e non farlo avvicinare troppo - essere in guardia dall'altro e difendere il proprio spazio personale -sentire il contatto con l'altro come invadente -evitare di chiedere aiuto Il corpo tende a mandare il messaggio all'altro di distanza. Dietro questo stile, a volte, si nasconde la paura di divenire vulnerabile. Le persone con questi confini dovrebbero imparare che la vicinanza non è pericolo e che chiedere aiuto non significa essere vulnerabili. Confine a pendolo Questo lo stile oscilla tra il sottoconfinato e l'iperconfinato. Come posso esserti utile? Aiutandoti ad aumentare la consapevolezza rispetto ai segnali del corpo che indicano una violazione di confine, saper leggere i segnali provenienti dagli altri e rispettare i loro confini. Far in modo che il confine relazionale diventi una scelta piuttosto che un automatismo. Numerose ricerche si sono occupate di studiare l'attaccamento nel bambino e di come lo stile formatosi nell'infanzia può andare ad influenzare le relazioni future da adulto. Sono stati identificati 4 tipi di attaccamento nel bambino. Attaccamento Sicuro Si forma un attaccamento sicuro quando è presente una comunicazione reciproca e sintonizzata del genitore sui bisogni del bambino sia sul piano fisico che emotivo. Nei momenti di difficoltà, il bambino ha fiducia nella disponibilità e nel supporto dell'adulto. In tal modo si sente libero di poter esplorare il mondo, si sente amato e capace di sopportare un distacco anche prolungato dai genitori senza avere timore di essere abbandonato. I bambini con questo attaccamento diventeranno solitamente adulti che si sentono a loro agio nell'autonomia così come nel cercare il supporto dagli altri. Da adulti saranno in grado di riconoscere le persone a cui legarsi sentimentalmente. Solitamente entreranno in relazione con persone, a loro volta con un attaccamento sicuro, in grado di condividere momenti tristi e felici, ricevendo e donando conforto, comprensione, calore e affetto in modo da confermare la propria percezione di persona degna di essere amata e curata. Inoltre, avendo avuto esperienza di un rapporto di totale fiducia con la propria madre, tenderanno a dar vita a legami sentimentali poco ossessivi, basati sulla fiducia reciproca, utilizzando il proprio partner come base sicura da cui dipendere, ma allo stesso modo, da cui partire autonomamente, per le continue esplorazioni dell'ambiente circostante. Attaccamento Evitante Si può dare origine ad un attaccamento evitante quando il bambino fa esperienza, nella sua infanzia, di una figura di attaccamento non presente nel momento del bisogno. Di solito sono figli di madri che non sono abituate al contatto fisico, che possono reagire alle richieste di vicinanza del bambino indietreggiando o evitando lo sguardo. Il bambino, non ricevendo risposta alle sue richieste, inizia così a ricercare l’autosufficienza anche sul piano emotivo. Generalmente, da adulti, non daranno molto peso alle relazioni interpersonali e consideranno le emozioni con cinismo, si chiuderanno in se stesse senza ricercare aiuto dagli altri anche in momenti di difficoltà. Da adulti potrebbero avere l'idea di non essere una persona degna di essere amata e che, nella vita, si può contare solo su di sé. Cercheranno, quindi, di nel non farsi coinvolgere emotivamente nelle relazioni interpersonali instaurate, e la loro vita sarà improntata tutta sul desiderio di conquista di un'autonomia e autosufficienza personale che escluda, in caso di necessità, il ricorso agli altri, considerati individui inaffidabili e su cui contar poco. Questa vera e propria strategia di vita, in realtà, non è altro che una misura di prevenzione contro il rischio di ulteriori delusioni, dovute ad esperienze di eventuali rifiuti. Attaccamento Ambivalente. Si sviluppa questo stile di attaccamento quando la risposta della madre alle richieste del bambino, è contradditoria e imprevedibile. Non è presente nel bambino la certezza che la figura di attaccamento sia disponibile a rispondere ad una richiesta d’aiuto. Per questo motivo l’esplorazione del mondo è incerta, esitante e connotata da ansia. Questi bambini non si confortano quando si ricongiungono con la mamma dopo una separazione, sono spesso irritabili e hanno uno scarzo controllo degli impulsi. Da adulti sono spesso dipendenti dagli altri, preferiscono la vicinanza e le loro relazioni sono intense . Sono preoccupati della dispnibilità della figura di attaccamento e spesso sperimentano agitazione in vista di una separazione. Da adulti pernseranno spesso di aver trovato la persona giusta, potrebbero idealizzare eccessivamente il partner e solo successivamente, accorgersi di aver commesso uno sbaglio nella scelta, e a quel punto, soffrirà irrimediabilmente. Il bambino che sperimenta una relazione con una madre imprevedibile, può svilluppare un'idea di sè come di una persona da amare in maniera discontinua, ad intermittenza. La persona con attaccamento ambivalente potrebbe diventare molto geloso, dando vita ad una relazione ossessiva, possessiva e autoritaria. Attaccamento Disorganizzato. Questi bambini hanno risposte spesso contraddittorie nel momento del ricongiungimento con i genitori: piangono e si buttano sul pavimento o portano le mani alla bocca con le spalle curve. Altri girano in tondo mentre si avvicinano ai genitori. Altri ancora appaiono disorientati, congelati in tutti i movimenti. Altri si avvicinano con la testa girata in altra direzione, in modo da evitare lo sguardo dei genitori. Questi bambini rispondono in questo modo perchè la loro figura di attaccamento è spaventata o spaventa il bambino. Se ciò avviene, oltre all'attaccamento, si attiva il sistema di difesa verso quel genitore da cui si ricerca cure ma che, allo stesso tempo, fa paura. Spesso sono bambini vittima di abuso o di maltrattamenti fisici o psicologici. Da adulti tenderanno a scegliere partner non affidabili, violenti e aggressivi. Bibliografia. Attaccamento e amore, Attili, 04, Edizioni Il Mulino |
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