Immaginate di star per baciare vostro figlio e augurargli la buonanotte e improvvisamente siete scossi da un'immagine di voi che soffocate vostro figlio. Oppure provate ad immaginare voi stessi come un bambino che ha intensamente paura di giocare con nuovo cagnolino ... non per la paura dei cani, ma perchè ha un intensa paura di perdere il controllo e rompergli il collo. Questo sottotipo di disturbo ossessivo compulsivo è caratterizzato dalla paura di far del male ad altre persone, spesso care, o di ucciderle, oppure far del male a se stessi immaginando di ferirsi o di uccidersi. Si può immagina di pugnalare, colpire, soffocare, avvelenare qualcuno o di compiere furti, omicidi e rapine, tutto accompagnato da immagini terrificanti di sangue e morte. A volte queste immagini sono associate con la presenza di trigger come la presenza o la vista di determinate persone (ad esempio, persone care) o popolazioni vulnerabili (ad esempio, bambini o anziani), ma si possono verificare anche vedendo degli estranei. In altri casi, possono apparentemente emergere di punto in bianco. A causa di ciò, molte persone con ossessioni violente, cominciano ad evitare le persone per paura di poter far loro del male. Oppure possono cercare di tenersi sempre attivi con la mente per evitare che questi pensieri emergano, temendo di andare a dormire e stare con questi pensieri. Vediamo insieme alcuni esempi di pensieri violenti intrusivi:
Gli individui con ossessioni violente possono temere di diventare serial killer o di far deliberatamente del male a qualcuno che amano e di desiderare ciò segretamente e inconsciamente, perciò si chiedono "se ho fatto questo pensiero e se lo continuo a fare forse significa qualcosa ?" Ciò genera molta ansia e sensi di colpa e continui tentativi di scacciare della propria mente questi pensieri, che sono indesiderati e che la persona giudica intrusivi . Chi soffre di ossessioni aggressive diventa prigioniero di un mondo dove per essere buoni è necessario liberare la mente da tutti i pensieri cattivi. Le persone con ossessioni violente infatti, tendono ad essere ipersensibili ai cattivi pensieri e spesso sono individui iper-moralistici per questo tali pensieri indesiderati sono per loro così dolorosi . Alcune valutazioni erronee che nascono dall'avere questi pensieri
Queste valutazione erronee descritte portano a vivere nella paura, nella disperazione, nell'isolamento e nella depressione per molti anni prima di comprendere che quello di cui soffre realmente è un disturbo d'ansia che può essere curato. Ricorda:
Le più accreditate linee guida internazionali per il trattamento del DOC indicano come trattamenti first-line sia la terapia cognitiva comportamentale (TCC), sia la terapia farmacologica
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Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è caratterizzato dalla presenza di ossessioni e/o compulsioni. Le ossessioni sono pensieri, immagini mentali o impulsi che si manifestano ripetutamente nella mente di una persona e che sono percepiti come sgradevoli ed intrusivi. Il contenuto è spesso bizzarro; per esempio, il dubbio di essere venuto a contatto con dei germi toccando qualcosa che è stato toccato da qualcuno che potrebbe avere una qualche malattia, oppure essere spaventati dall'idea di perdere il controllo dei propri impulsi aggressivi e fare del male a qualcuno con il dubbio che questo sia veramente accaduto o meno. Le compulsioni, dette anche rituali, sono invece dei comportamenti ripetitivi (es. lavarsi le mani, controllare se lo sportello della macchina è stato chiuso, riordinare) o delle azioni mentali (es. contare, pregare, ripetere formule superstiziose), messi in atto per ridurre il senso di disagio e l’ansia provocati dai pensieri ossessivi. La paura di aver fatto del male a qualcuno per disattenzione Vediamo un esempio. Luca da circa un mese convive con un forte dubbio. Tutto ha inizio una sera quando, tornando a casa, ha sentito uno strano rumore, come se avesse urtato qualcosa, immediatamente viene preso da un angosciante dubbio: " E se avessi investito qualcuno?; " Come posso essere sicuro che non sia successo, al buio potrei non essermene accorto?" Cosi Luca si ferma per controllare e rassicurarsi , tutto appare tranquillo e non sembra vedere traccia di incidenti. Tornato a casa il dubbio si ripresenta e così nei giorni successivi. Ogni volta che Luca guida non si sente più tranquillo, ha continuamente paura di far del male agli altri, di tamponarli e buttarli fuori strada. Inizia a controllare scrupolosamente dagli specchietti e quando il dubbio è forte si ferma per verificare che non sia successo niente, controlla la sua carrozzeria ogni giorno e per essere più sicuro guarda attentamente i telegiornali. La qualità della vita di Luca inizia a compromettersi, inizia a prendere la macchina il meno possibile, ogni volta che incontra un ambulanza a sirene accese è preso dall'angoscia e la segue per controllare che non abbia investito qualcuno. Quando guida in compagnia si sente meno ansioso, ogni tanto chiede qualche piccola rassicurazione al passeggero che lo fa stare subito meglio." Alcuni pensieri ossessivi hanno come contenuto la paura di causare danni accidentali agli altri, per negligenza o disattenzione. Le persone con queste paure, spesso, hanno la sensazione che essendo partecipi ad una situazione (anche solo vedendola) che potrebbe essere pericolosa, sono moralmente obbligati ad agire responsabilmente al fine di evitare potenziali pericoli. Per esempio. Gianni sente il bisogno di rimuovere dai marciapiedi in cui cammina possibili ostacoli o pericoli per gli altri perché se non lo facesse si sentirebbe responsabile se qualcuno si facesse male avendola vista e non avendo fatto niente. Dietro la paura di danneggiare gli altri si cela un forte senso di responsabilità , associato ad un forte senso di colpa che porta a prendere delle precauzioni eccessive al punto di sacrificare il proprio benessere. Il fine è quello di prevenire possibili danni, a se stesso o agli altri, di cui la persona potrebbe essere ritenuta responsabile. Vediamo altre situazioni in cui si può temere di danneggiare gli altri.
Avendo questi pensieri ossessivi, la persona sente il bisogno di annullare qualsiasi rischio a costo di impegnare la maggior parte del tempo e delle energie in rituali di controllo e altre attività preventive ( richiedeste di rassicurazione, ruminazione etc.). Vediamone alcuni insieme.
Tutti rituali di controllo finalizzati a ridurre l’ansia alimentano il dubbio e compromettono significativamente la qualità della vita La Terapia Cognitivo Comportamentale è considerata una terapia molto efficace per la cura del DOC tanto da essere considerata dall' American Psychiatric Association trattamento di prima scelta. «La prima volta è successo in albergo», racconta Violante Placido, «Mani fredde, battito cardiaco impazzito, una debolezza infinita. E io che penso: “Oddio, ho un infarto…” Ero sola, in albergo: mi sono stesa sul pavimento, con i piedi in alto. Niente da fare, la crisi non passava. Allora ho chiamato il portiere: “Sto malissimo, mi mandi un dottore”. Mi tremavano le mani, non riuscivo a reggere la cornetta". L'attacco di panico può farti sentire come se stessi per morire. Ciò accade perchè gli attacchi di panico possono mimare i sintomi di gravi condizioni di salute. E' per questo fondamentale che si parli con il proprio medico prima di iniziare qualsiasi programma di trattamento di panico. I sintomi di un attacco di panico:
Leggendo attentamente la sintomatologia si può comprendere il motivo per cui il panico è così spaventoso: si camuffa da qualcosa di diverso da quello che in realtà è. In molti casi, gli individui che hanno attacchi di panico non comprendono, nell'apice dell'attacco, ciò che sta accadendo e interpretano i sintomi del panico come un infarto o un altro segno di una grave condizione medica. Dopo il primo attacco, molti individui spesso vivono nella paura che possa verificarsene un altro. Di conseguenza, cercano di prevenire ed evitare eventuali situazioni in cui potrebbero sorgere. Molto spesso questi evitamenti e precauzioni non fanno altro che mantenere il problema. Nella Terapia Cognitivo Comportamentale, la tecnica utilizzata per ridurre il panico è l'esposizione comportamentale, lavorando prima sullo spezzare i circoli viziosi che alimentano il panico che spesso si rafforzano proprio da ciò che la persona fa come prevenzione e protezione. Inoltre è importante lavorare sulla consapevolezza, fondamentale per apprendere come funziona l'ansia e riconoscere un attacco di panico per quello che è: un’ondata di adrenalina e non una morte imminente o una grave malattia. Il confine è un limite e ogni giorno utilizziamo questo limite per effettuare delle scelte, per esempio per dire si e per dire no. Il modo in cui utilizziamo i nostri confini rispecchia ciò che abbiamo appreso nel passato per adattarci alle situazioni in cui siamo cresciuti e per far fronte alla relazioni difficili nel corso dell'infanzia. Questa modalità comportamentale appresa, oggi si ripresenta in modo automatico . Se nel corso dello sviluppo non si ha avuto la possibilità di sperimentare dei sani confini relazionali si tenderà o a diventare troppo passivi o aggressivi, senza riuscire a definire i limiti tra sè e l'altro. Il nostro corpo ci pone dei segnali di confine, per esempio: - se ci irrigidiamo, tendiamo a fare dei passi all'indietro e abbiamo l'impulso ad allontanarci, . significa che la persona che abbiamo davanti si sta avvicinando troppo e abbiamo bisogno di mettere un confine. E questo è vero anche al contrario. -se vediamo una persona che cerca di allontanarsi e più ci avviciniamo più mostra segnali di disagio significa che le stiamo parlando ad una distanza troppo ravvicinata. Stile sottoconfinato Questo stile solitamente si forma in ambienti famigliari dove le persone tendono a fondersi tra loro, dove non viene rinforzata l'autonomia, anzi, l'individualità viene considerata come una cosa negativa. Le persone con questi confini non sanno dire NO e hanno difficoltà a differenziare i propri bisogni, emozioni e opinioni da quelle degli altri, perchè non l'hanno mai fatto e tendono quindi a riproporre lo stile relazionale appreso dai genitori anche nel mondo esterno. Esempio di stile sottoconfinato: -potresti aiutare gli altri anche quando non vuoi -accettare di vedere film che non ti piacciono - temere che se dirai no, gli altri ti rifiuteranno - difficoltà a distinguere te stesso dall'altro - rivolgerti agli altri per chiedere informazioni e consigli e accettare come vero quello che pensa l'altro -dare troppo -tendenza ad avvicinarsi troppo fisicamente ed emotivamente agli altri Le persone con questo stile avrebbero bisogno di imparare ad essere maggiormente connesse con se stesse e a fare esperienza del NO. Stile Iperconfinato Quando parliamo di stile iperconfinato ci riferiamo a confini rigidi , in cui c'è facilità a dire NO, perchè il si è visto come cedere all'altro. Solitamente, questa modalità comportamentale viene appresa in ambienti dove il contatto fisico e emotivo veniva evitato e dove il bambino è divenuto velocemente autosufficiente e in guardia. Alcuni esempi: - tendenza a mettere un muro per non far entrare l'altro e non farlo avvicinare troppo - essere in guardia dall'altro e difendere il proprio spazio personale -sentire il contatto con l'altro come invadente -evitare di chiedere aiuto Il corpo tende a mandare il messaggio all'altro di distanza. Dietro questo stile, a volte, si nasconde la paura di divenire vulnerabile. Le persone con questi confini dovrebbero imparare che la vicinanza non è pericolo e che chiedere aiuto non significa essere vulnerabili. Confine a pendolo Questo lo stile oscilla tra il sottoconfinato e l'iperconfinato. Come posso esserti utile? Aiutandoti ad aumentare la consapevolezza rispetto ai segnali del corpo che indicano una violazione di confine, saper leggere i segnali provenienti dagli altri e rispettare i loro confini. Far in modo che il confine relazionale diventi una scelta piuttosto che un automatismo. L'agorafobia viene oggi definita come l’ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni da dove sia difficile (o imbarazzante) allontanarsi oppure, dove sia difficile o impossibile ricevere aiuto nel caso in cui si verifichino attacchi di panico. A causa delle radici latine della parola Agorafobia (’Agorà”= piazza) spesso si crede erroneamente che con questo termine ci si riferisca alla paura di stare in luoghi aperti . Vediamo allora insieme più approfonditamente cosa significa AGORAFOBIA. L'agorafobia è quindi la paura di sperimentare la sintomatologia del panico in alcune specifiche situazioni. (Zuercher-White e Pollard, 2003). Per sintomatologia si intendono sia veri e propri attacchi di panico, che sperimentare i correlati fisiologici del panico senza che sia arrivi al picco di ansia, come sudorazione, vertigini, disorientamento, difficoltà di respirazione, batticuore, nausea, diarrea, problemi gastrointestinali, vomito, mal di testa, dissociazioni, depersonalizzazione, o derealizzazione. Le situazioni correlate all'Agorafobia La paura di avere un attacco di panico è più forte in determinate situazioni. Per esempio:
La paura di avere attacchi di panico contribuisce ad evitare alcune situazioni e a modificare la propria routine quotidiana. Per esempio:
Per molte persone che vanno incontro a questo disturbo, è spesso difficile fare le cose da soli e hanno bisogno di essere accompagnati da una persona di fiducia per sentirsi sicuri. Quando ci si trova in un luogo temuto si diventa molto ansiosi e angosciati, con un intenso desiderio di fuggire. Per evitare queste sensazioni si preferisce rimanere a casa per la maggior parte del tempo. Alle volte, si possono sperimentare attacchi di panico anche a casa, e per questo si sente un estremo bisogno di qualcuno vicino in ogni momento. L'evitamento delle situazioni ansiogene può avere successo nel breve tempo ma con la conseguenza di modificare la propria quotidianità con numerose restrizioni che tendono ad aumentare con il tempo e ad influenzare la vita della persona e dei suoi familiari. Spesso l' agorafobia si presenta insieme ad un disturbo di panico, ma può anche accompagnarsi con un disturbo ossessivo compulsivo, con ansia sociale, con un disturbo d'ansia generalizzato e con altri disturbi correlati all'ansia. Agorafobia può essere trattata con la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) utilizzando come tecniche la ristrutturazione cognitiva e le esposizione comportamentali. Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è caratterizzato generalmente dalla presenza di ossessioni e compulsioni. Le ossessioni sono pensieri, impulsi o immagini mentali che vengono percepite come sgradevoli o intrusive dalla persona, che si sente così costretta a mettere in atto delle compulsioni, ovvero comportamenti ripetitivi o azioni mentali che permettono di alleviare momentaneamente il disagio provocato dalle ossessioni. In questo articolo parleremo delle ossessioni legate al timore di contaminare il proprio animale domestico e viceversa. E la paura di far del male al proprio animale accidentalmente e/o intenzionalmente. La paura di contaminare il vostro animale domestico Queste ossessioni riguardano il timore di coinvolgere il vostro animale domestico e accidentalmente contaminarlo rendendolo malato. Alcuni esempi:
Paura di essere contaminati dal vostro animale. Alcuni esempi:
La maggior parte delle persone ad un certo punto della propria vita può avere uno di questi pensieri, almeno di sfuggita. Gli individui con disturbo ossessivo compulsivo contaminazione trovano però molto più difficile respingerli e di conseguenza, essere più propensi a intraprendere azioni difensive in risposta a questi pensieri come la pulizia, la disinfezione, o evitare oggetti potenzialmente contaminati fino ad allontanare i propri animali domestici. Spesso compulsioni cominciano come risposte abituali a ragionevoli a contaminazione. Tuttavia, in poco tempo i rituali che vengono intrapresi come modalità preventiva, diventano ingestibili, irragionevoli, e controproducenti. La "soluzione" al problema diventa rapidamente molto peggio del "problema" in sé. Timore di arrecare un danno accidentale al vostro animale Queste ossessioni si concentrano sulla paura di causare danni al proprio animale per negligenza o irresponsabilità. Alcuni esempi :
Timore di far del male intenzionalmente al proprio animale Queste ossessioni fanno riferimento a pensieri intrusivi sulla propria cattiveria o il timore di arrivare ad uccidere il proprio animale domestico se si entrasse in uno stato di mente alterata. Pensieri e immagini intrusivi possono invitare a far del male al proprio animale domestico Vediamo alcuni timori:
Il pensiero magico subentra quando si percepiscono le connessioni tra due eventi ( anche se non logicamente ). Per esempio se faccio un certo rito quella cosa non accadrà. Per questo può nascere la paura che se non si esegue un certo rito, l'animale potrebbe ammalarsi. Nella scelta del trattamento psicoterapico le linee guida incoraggiano a valutare il rapporto costo-benefici della terapia, favorendo l’utilizzo dell’approccio ad orientamento cognitivo-comportamentale (CBT), focalizzato soprattutto sull’uso dell’ERP (Esposizione e Prevenzione della Risposta). (Maina et al., 2010). Alcune persone nonostante la motivazione e la consapevolezza di aver bisogno di un percorso psicologico, dentro di sé sentono di non riuscire a fare il passo successivo.. fissare il primo appuntamento. Così rimangono per molto tempo in una situazione di sofferenza, ricorrendo all'aiuto solo quando si ritrovano a star male in maniera insopportabile. L'aiuto dello psicologo, invece, sarebbe molto più utile quando ancora la sofferenza non si è consolidata in modo patologico e cronico, intervenendo nella crisi ed evitando di arrivare ad una situazione di disagio intollerabile. Vediamo insieme alcune delle resistenze più comuni che portano a ritardare il contatto con lo psicologo. Paura di parlare al telefono con uno sconosciuto e che già dalla prima telefonata possa percepire le nostre difficoltà e farsi un'idea di noi. Dietro questa paura c'è spesso l'ansia di essere giudicati. Ricordati che lo psicologo è un professionista e che non emette giudizi sull'altro ma che è pronto a sintonizzarti con la tua sofferenza per comprendere il tuo mondo e aiutarti. Paura di svelarsi e che lo psicologo possa comprendere cose brutte di voi. Ciò può derivare dalla credenza che se l'altro ci conoscesse davvero non ci accetterebbe a causa dei nostri difetti e per questo è meglio non svelarsi mai del tutto. Inoltre, anche se non ci svelassimo, potremmo aver paura che lo psicologo riesca lo stesso a percepire questa difettosità anche solo guardandoci e se ciò avvenisse potrebbe significare che è proprio così e non solo una nostra sensazione e ci sentiremo scoperti! Lo psicologo non sta lavorando per farti sentire in questo modo, ma per aiutarti a sentirtici il meno possibile e non aver paura di avere qualcosa che non va perché molto spesso queste sensazioni derivano dalla propria storia di vita e sono solo delle sensazioni. Paura di essere rimproverati anche solo con lo sguardo e non compresi nella sofferenza. Uno dei compiti dello psicologo è riuscire ad accogliere l'altro e comprendere la sua sofferenza, senza rimproverare o giudicare. Ci sono persone che sono molto sensibili ai rimproveri, per cui basta uno sguardo accigliato per aprire una ferita, se anche a te capita ciò parlane con il tuo psicologo e vedrai che potrà aiutarti a ridurre questa sensibilità alla critica. Io non ho bisogno di uno psicologo. Sono abbastanza forte per risolvere i miei problemi da solo, inoltre solo i falliti chiedono aiuto.Per alcune persone non riuscire a risolvere da soli i propri problemi e dover chiedere aiuto è qualcosa di molto doloroso, che li porta a percepirsi come non vorrebbero mai: dei falliti e dei deboli. Sono solitamente persone che sono sempre riuscite a farcela da soli e non capiscono perché ora non vi riescono più. Le persone che vanno dallo psicologo non sono falliti o dei deboli. Sono persone che vogliono modificare qualcosa che non va nella propria vita e non rimanere in una situazione di stallo e di sofferenza, persone che vogliono stare meglio , crescere, riuscire ad apprendere nuovi strumenti con cui affrontare la vita e comprendere il proprio funzionamento. Non mi sento così pazzo da dover andare dallo psicologo. Non è necessario avere una diagnosi con un problema di salute mentale per “andare dallo psicologo”. Anzi, come dicevamo sopra, dallo psicologo è importante andare prima che il problema si cronicizzi, invece spesso si sottovaluta il problema pensando che con il tempo passerà da solo, che forse è solo un periodo e si inizia così la dura convivenza con attacchi di panico, ansia, depressione quando invece un intervento tempestivo potrebbe essere efficace. Tutti gli psicologi vogliono parlare dell'infanzia. Se ci sono degli argomenti di cui preferisci non parlare, lo psicologo rispetterà questa tua volontà e ci si potrà focalizzare maggiormente sul tuo problema attuale. La Psicoterapia si sa quando inizia e non si sa quando finisce e inoltre costa troppo. Un altra paura è quella di dover iniziare percorsi che durano anni e dover spendere un occhio della testa. Quando contatti per la prima volta uno psicologo puoi chiedere la tariffa , ogni professionista ha un suo tariffario ed alcuni sono accessibili e molti professionisti vengono incontro alle possibilità di spesa del loro cliente. Se hai problematiche economiche potresti inoltre rivolgerti al sistema sanitario pubblico e farti fare un'impegnativa dal tuo medico di base. La salute e l'equilibrio psicologico sono importanti quanto la salute fisica , non trascinarti i problemi a lungo nel tempo . Nessuno può aiutarmi , i miei problemi sono irrisolvibili . Alcune persone sono convinte che per i loro problemi non ci sia soluzione. Questo pessimismo può nascondere, ad esempio la paura di cambiare o la paura di andare incontro ad un ulteriore delusione. Magari sperare in qualcosa e poi non vederlo verificato. Solo affrontando queste paure potrà essere possibile un cambiamento , stare fermi e aspettare che passi è qualcosa è un comportamento che è già stato messo in atto tante volte e che non ha funzionato anzi ha portato a vedere quei problemi come ancora più grandi. Paura di diventare dipendente dallo psicologo. Per alcune persone è difficile chiedere aiuto a uno psicologo perché pensano che ne diventeranno dipendenti. Il compito dello psicologo è al contrario aiutare la persona ad andare verso la propria autonomia. Lo stress può essere considerato una risposta adattativa a situazioni ambientali percepite come pericolose a cui il corpo risponde attraverso la produzione di ormoni e neuro-trasmettitori. Un'attivazione ripetuta di questo circuito può portare ad uno stato di iperattivazione adrenalinica che nel tempo può portare ad indebolire il sistema immunitario e cardiovascolare. Alla fine degli anni ’70 il termine Burnout è stato utilizzato per indicare una forma particolare di stress lavorativo specifico delle professioni di aiuto (infermieri, medici, psicologi, insegnanti/educatori, assistenti sociali, poliziotti, vigili del fuoco, psichiatri, operatori socio-sanitari etc.). Le professioni d'aiuto richiedono infatti un continuo confronto con la sofferenza che in alcuni casi può diventare insostenibile per il forte impegno sul piano emotivo. Burnout: sintomi fisici che più spesso si presentano : •Stanchezza e facile esauribilità •Insonnia e aumentato bisogno di dormire •Alterazioni del ritmo circadiano •Disturbi gastrointestinali •Dolori (viscerali, muscolari, cefalea) •Crisi di affanno •Vertigini e capogiri Burnout: sintomi psicologici •Stato di costante tensione emotiva •Ansia e irritabilità •Senso di frustrazione •Demoralizzazione e/o depressione •Sentimenti di fallimento •Apatia e noia Burnout: comportamenti messi in atto •Distacco emotivo e/o cinismo •Ritardi sul lavoro, assenteismo, turnover •Trattare i pazienti come fossero oggetti •Reazioni negative verso i familiari dei pazienti e verso i coleghi •Oppositività all’ambiente e difficoltà nelle relazioni interpersonali •Uso di sostanze (farmaci e alcol) A differenza di una condizione generica di stress, il burnout è una condizione prolungata nel tempo che tende a cronicizzarsi e che difficilmente è superabile autonomamente. Il burnout si sviluppa attraverso una serie di fasi: 1)FASE DELL’ENTUSIASMO: caratterizza gli esordi della carriera in ambito sanitario dove sono spesso presenti forti spinte altruistiche che porteranno ad entrare a stretto contatto con la sofferenza altrui. 2)FASE DELLA STAGNAZIONE: questa fase è caratterizzata dalla delusione per gli obiettivi non raggiunti . 3)FASE DELLA FRUSTRAZIONE: c'è una percezione del proprio fallimento, dal quale non si riesce a vedere una via d’uscita, e ciò è all’origine di una condizione depressiva.L'operatore pensa di non essere più in grado di aiutare nessuno e rischia di rivolgere la propria aggressività verso l’utenza dimostrando una totale assenza d’empatia e di disponibilità. 4)FASE DELL’APATIA: si caratterizza per un totale disinvestimento dalla professione sanitaria, per cui l’atteggiamento verso i colleghi e i pazienti diventa distanziante e apatico. Questa fase porta al burnout vero e proprio. L’operatore percepisce un senso di inadeguatezza rispetto alle proprie capacità di stabilire una relazione d’aiuto, arrivando a vivere una condizione di fallimento personale. Prevenire il burnout è possibile grazie a: L’informazione che mira a far conoscere questo fenomeno e ad offrire utili consigli per prevenirlo; La formazione e la supervisione attraverso esperienze di gruppo o discussione di casi . Interventi specifici attraverso la strutturazione, in base alle esigenze organizzative, di programmi anti stress studiati sulla mansione lavorativa. Numerose ricerche si sono occupate di studiare l'attaccamento nel bambino e di come lo stile formatosi nell'infanzia può andare ad influenzare le relazioni future da adulto. Sono stati identificati 4 tipi di attaccamento nel bambino. Attaccamento Sicuro Si forma un attaccamento sicuro quando è presente una comunicazione reciproca e sintonizzata del genitore sui bisogni del bambino sia sul piano fisico che emotivo. Nei momenti di difficoltà, il bambino ha fiducia nella disponibilità e nel supporto dell'adulto. In tal modo si sente libero di poter esplorare il mondo, si sente amato e capace di sopportare un distacco anche prolungato dai genitori senza avere timore di essere abbandonato. I bambini con questo attaccamento diventeranno solitamente adulti che si sentono a loro agio nell'autonomia così come nel cercare il supporto dagli altri. Da adulti saranno in grado di riconoscere le persone a cui legarsi sentimentalmente. Solitamente entreranno in relazione con persone, a loro volta con un attaccamento sicuro, in grado di condividere momenti tristi e felici, ricevendo e donando conforto, comprensione, calore e affetto in modo da confermare la propria percezione di persona degna di essere amata e curata. Inoltre, avendo avuto esperienza di un rapporto di totale fiducia con la propria madre, tenderanno a dar vita a legami sentimentali poco ossessivi, basati sulla fiducia reciproca, utilizzando il proprio partner come base sicura da cui dipendere, ma allo stesso modo, da cui partire autonomamente, per le continue esplorazioni dell'ambiente circostante. Attaccamento Evitante Si può dare origine ad un attaccamento evitante quando il bambino fa esperienza, nella sua infanzia, di una figura di attaccamento non presente nel momento del bisogno. Di solito sono figli di madri che non sono abituate al contatto fisico, che possono reagire alle richieste di vicinanza del bambino indietreggiando o evitando lo sguardo. Il bambino, non ricevendo risposta alle sue richieste, inizia così a ricercare l’autosufficienza anche sul piano emotivo. Generalmente, da adulti, non daranno molto peso alle relazioni interpersonali e consideranno le emozioni con cinismo, si chiuderanno in se stesse senza ricercare aiuto dagli altri anche in momenti di difficoltà. Da adulti potrebbero avere l'idea di non essere una persona degna di essere amata e che, nella vita, si può contare solo su di sé. Cercheranno, quindi, di nel non farsi coinvolgere emotivamente nelle relazioni interpersonali instaurate, e la loro vita sarà improntata tutta sul desiderio di conquista di un'autonomia e autosufficienza personale che escluda, in caso di necessità, il ricorso agli altri, considerati individui inaffidabili e su cui contar poco. Questa vera e propria strategia di vita, in realtà, non è altro che una misura di prevenzione contro il rischio di ulteriori delusioni, dovute ad esperienze di eventuali rifiuti. Attaccamento Ambivalente. Si sviluppa questo stile di attaccamento quando la risposta della madre alle richieste del bambino, è contradditoria e imprevedibile. Non è presente nel bambino la certezza che la figura di attaccamento sia disponibile a rispondere ad una richiesta d’aiuto. Per questo motivo l’esplorazione del mondo è incerta, esitante e connotata da ansia. Questi bambini non si confortano quando si ricongiungono con la mamma dopo una separazione, sono spesso irritabili e hanno uno scarzo controllo degli impulsi. Da adulti sono spesso dipendenti dagli altri, preferiscono la vicinanza e le loro relazioni sono intense . Sono preoccupati della dispnibilità della figura di attaccamento e spesso sperimentano agitazione in vista di una separazione. Da adulti pernseranno spesso di aver trovato la persona giusta, potrebbero idealizzare eccessivamente il partner e solo successivamente, accorgersi di aver commesso uno sbaglio nella scelta, e a quel punto, soffrirà irrimediabilmente. Il bambino che sperimenta una relazione con una madre imprevedibile, può svilluppare un'idea di sè come di una persona da amare in maniera discontinua, ad intermittenza. La persona con attaccamento ambivalente potrebbe diventare molto geloso, dando vita ad una relazione ossessiva, possessiva e autoritaria. Attaccamento Disorganizzato. Questi bambini hanno risposte spesso contraddittorie nel momento del ricongiungimento con i genitori: piangono e si buttano sul pavimento o portano le mani alla bocca con le spalle curve. Altri girano in tondo mentre si avvicinano ai genitori. Altri ancora appaiono disorientati, congelati in tutti i movimenti. Altri si avvicinano con la testa girata in altra direzione, in modo da evitare lo sguardo dei genitori. Questi bambini rispondono in questo modo perchè la loro figura di attaccamento è spaventata o spaventa il bambino. Se ciò avviene, oltre all'attaccamento, si attiva il sistema di difesa verso quel genitore da cui si ricerca cure ma che, allo stesso tempo, fa paura. Spesso sono bambini vittima di abuso o di maltrattamenti fisici o psicologici. Da adulti tenderanno a scegliere partner non affidabili, violenti e aggressivi. Bibliografia. Attaccamento e amore, Attili, 04, Edizioni Il Mulino La vergogna è un emozione sociale che si prova quando si è in relazione con altre persone. Ci si può vergognare per qualcosa che si ha commesso o per quello che si è, per quello che si ha o non si ha, per i propri pensieri, le proprie emozioni e per il proprio corpo. Lo scopo che si trova dietro alla vergogna è quello di dare una buona immagine di sè, ovvero di ricevere valutazioni positive dagli altri. L'esperienza di imbarazzo avvisa della mancata aderenza del proprio comportamento a determinati standard sociali e che lo scopo della buona immagine sta per essere compromesso. Ad esempio, se nel bel mezzo di una presentazione importante, inavvertitamente, capita di inciampare e di cadere, o di rovesciare una bevanda, o che i pantaloni si strappino, si può provare vergogna. I segnali caratteristici dell’emozione della vergogna sono segnali fisici come sudare, tremare, arrossire, balbettare e avere la voce tremante. Le situazioni che possono creare vergogna cambiano da persona a persona e dipendono dalla valutazione globale che diamo a noi stessi. Lo stesso stimolo può apparire come segnale di inadeguatezza per una persona ma non per un'altra. Secondo Lewis (1992), le situazioni che possono elicitare quest’emozione sono:
Il comportamento che spesso viene messo in atto per non provare questa emozione è l'evitamento di tutte quelle situazioni che possono far provare imbarazzo. Se l'emozione non viene evitata e ci si trova in una situazione di forte vegogna, il corpo tenderà a cercare di nascondersi, farsi piccolo, invisibile e fuggire dagli sguardi altrui, avendo la percezione di essere stati scoperti . A sua volta, il provare vergogna e i segnali corporei connessi a tale emozione, possono essere oggetto di un ulteriore valutazione negativa. Oltre alla vergogna per la situazione imbarazzante, si può provare vergogna per la propria vergogna. Ma a che serve la vergogna se fa sentire così a disagio? La vergogna probabilmente si è evoluta per mantenere l'ordine sociale, comunicando agli altri attraverso i segnali non verbali, che si comprende la scorrettezza del loro comportamento e si cercherà di fare meglio (Miller, 2007). I ricercatori hanno scoperto che le persone che mostrano imbarazzo per le loro trasgressioni sociali sono più inclini ad essere amate, perdonate e di conseguenza, il loro imbarazzo salva la loro faccia (Keltner e Anderson, 2000). |
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